lunedì 29 aprile 2013

Un amore spezzato



 Epitaffio

Non credere più,
               amato Narciso,
               alle mie storie.

Dipinsi le pareti grigie
               di colori accesi

per tentare di catturarti.
               Non ci riuscii.
              Tu ora sei nell’acqua.

Tu, ora, sei
               un’immagine perfetta.






Le storie bugiarde
Raccontami ancora,
ancora una volta,
le tue antiche fiabe d'amore
Avvolgimi tra i veli colorati,
umidi, che pendono dal tuo
soffitto di foglie.

Mi perdo, talvolta,
a osservarle e dimentico.

Mi vedi attraverso la stoffa?
Riplasmami.
  Reinventami.

 (costruimmo insieme una scala
 che portava al cielo.
   Era una scala d’edera,
 tentennante al vento.
Nessuno poteva crederci).



                  

sabato 27 aprile 2013

passeggiando tra i libri

La memoria degli alberi è un libro sulla luce, così abbagliante che mentre chiudi gli occhi per riuscire a leggere sembra di entrare in una caverna e quando riesci a riaprirli vengono inondati da calde lacrime. Il sentimento che più pervade chi legge è di angoscia calma, di ansia celata sotto uno stile veloce, diretto, ermetico quasi.

La realtà è un libro pieno di speranza, un libro sulla rinascita non della protagonista, ma del lettore.

A colpirmi è stata una frase del fratello maggiore di Marion, Ivan, il quale nonostante sia stato un personaggio di sfondo del racconto, alla fine appare come la chiave di volta dell’intera storia. Ad un certo punto, di fronte all’insicurezza di Marion nei confronti dei fratelli e del loro essere “brave persone” agli occhi dei genitori, risponde con una semplicità disarmante: “E’ normale vivere. E’ normale sbagliare. Ora però sta a te rialzarti ” . E’ in questo preciso momento che ci si rende conto che la vera storia non è quella di Marion, ma quella di un personaggio che ognuno di noi ha già incontrato o sta per incontrare. [...]



Non so se i libri possano essere universali e non credo di poter dire io che questo potrebbe, se non esserlo, quantomeno avvicinarvisi, ma so che le lacrime di liberazione e amore incondizionato per un’immagine di vita più grande scese alla fine del racconto sono merito dell’autrice e delle parole che ha lasciato impresse sulla carta.

Recensione di Michela Caccavo. Sul suo blog c'è l'articolo completo. Grazie Michela...

http://passeggiandotrailibri.wordpress.com/

mercoledì 24 aprile 2013

lo scrittore ad ore





Scrivere vivendo, vivere scrivendo.


Quella volta che ho spinto la macchina per tre chilometri che si era fermata per la benzina…
Quella volta che ho dato un bacio a Margherita, si chiamava così quella ragazza bellissima che veniva a prendere il pane la mattina…
Quella volta che ho detto al capo: “io me ne vado” e poi ho riso e ho buttato il camice per terra…
Quella volta che ho corso come un pazzo per raggiungere il rifugio e le bombe piovevano come grandine malvagia…
Quella volta che al mare sul moscone mio figlio mi ha detto “guarda papà che bel tuffo che faccio!”…
Quella volta che ho preso i soldi ed ho comprato l’anello, costava caro, ma le è piaciuto molto… l’avrà ancora addosso?…
Quella volta che c’era silenzio in classe, e nessuno sapeva la risposta, allora ho alzato la mano che mi tremava, e piano pianissimo, con la mia voce di ragazzino ho dato la risposta giusta…

Quella volta che bruciava la casa e abbiamo fatto in tempo a portare fuori solo le fotografie…
Quella volta che abbiamo aperto la porta della nuova casa per la prima volta…
Quella volta che siamo andati in gita al lago di Garda…
Quella volta che alle giostre guardavo la gente sulle montagne russe e pensavo “pazzi” e poi ci sono salito pure io…
Quella volta che mia figlia mi ha detto “sei nonno” ed io mi sono ricordato di quando, ragazzino, mio nonno mi raccontava le storie di paese ed io sognavo, allora mi è venuto da piangere… [...]


Quella volta che ho fatto pace con mio padre…
Quella volta che ho visto mio figlio farsi la barba…

Nella sala ricreazione dell’ospizio, Giovanni come al solito parla a sproposito da solo, seduto vicino alla finestra.

Da Quella volta di Vito Ferro

I palazzi delle Vallette, Torino bruciata, Torino brucia. Qualcuno continua a camminare, il fumo che esce dalle finestre... Non gli importa. Un cane, c'è un cane nero con lui e una ragazza con un sorriso di primavera senza nuvole. Vito accarezza le case distrutte con gli occhi. Una storia gli è entrata in testa e non riesce a liberarsene. Perché mai dobbiamo continuare a raccontare le nostre favole? Lei raccoglie un fiore giallo, tarassaco. Lo mette al posto del sole, nel cielo. Non importa se c'è stata la guerra, se il nostro paese è distrutto, se c'è solo cenere e cemento sotto di noi. La vita è qui, in questo fottuto istante perfetto. Uva annusa l'aria cercando qualche tesoro nascosto nell'erba sporca. Vito registra tutto e la sua storia cresce, giorno dopo giorno.



 

sabato 20 aprile 2013

la libreria comunardi

C'è una libreria stretta e lunga a Torino, vicino a Piazza Castello. In quella libreria io ho lavorato per anni. Precisamente dal 2000 al 2006, anni in cui è nato La memoria degli alberi. Mentre pulivo gli scaffali, sistemavo i libri, spazzavo il pavimento, pensavo ai personaggi di quel racconto lungo, sempre più intricato. La libreria Comunardi è, da sempre, un territorio fuori dal tempo. Là dentro sopravvive un'idea antica di rivoluzione laica, indipendente, vagamente anarchica.

Per anni ho ascoltato teorie interessanti sui palestinesi, sul governo italiano in balia dei poteri di sempre, sul g8 di Genova, sulla Fiat e, naturalmente, sul Toro. É infatti, anche una libreria integralmente granata. Durante le partite del Toro io potevo tutto sommato sonnecchiare perché il proprietario era troppo attento alla radiocronaca per accorgersi di me.
Se perdeva il Toro però il suo umore diventava inevitabilmente cupo e a quel punto era meglio rigare dritto.

La Comunardi è stata la mia libreria per anni, non potevo presentare La memoria degli alberi da un'altra parte. Così si aggiunge una nuova storia alla leggenda di questo luogo, ultimo avamposto di un' idea di libreria come luogo di diffusione del sapere rivolto a tutti, diffusione anche di quel sapere che, talvolta, è tenuto nascosto, perché ritenuto pericoloso.





giovedì 18 aprile 2013

il mio equilibrio è fragile



Il mio equilibrio è fragile. Cammino per le strade della città e luci inaspettate mi sorprendono abbagliandomi. Vedo giardini nascosti, inesistenti eppure così vivi dentro di me. Si aprono, nella geometria delle vie in cemento, squarci di edera selvaggia, margherite tenaci si aggrappano alla poca terra imprigionata nei vasi, scale contorte rivelano verticali spazi alla ricerca del cielo e della luce. E io desidero con forza qualcosa che ho perso. Non ricordo più il nome e la sua sostanza. Rimane il desiderio e la sua assenza. Come gocce fredde sul viso, quando il tuo corpo è pronto a diventare foglia nuova di primavera.







venerdì 12 aprile 2013

l'album delle storie: il 1968


Loro erano liberi di correre fino in fondo alla via. La città si apriva in mille anfratti, e nel riflesso delle vetrine si vedevano sorridere. Erano giovani, erano splendidi e c’era tutto il mondo da cambiare. Bastava volerlo.

Era il 1968 e io non c’ero ancora, ero solo un pallido desiderio inespresso.

Lei si nascondeva nei portoni, lui l’inseguiva. Come bambini nel mio film personale. Rivedo all’infinito le vostre risate. E ora che non ci sei più ti risento così, giovane e vitale. Non hai più bisogno di bastoni, né di carrozzine. Sei alto e hai gambe forti. Sei con lei, per sempre in quegli anni in cui tutto, davvero, sembrava possibile.





 

mercoledì 10 aprile 2013

la video-presentazione su Rai 3 regionale


Bisogna dire che io non so stare seria, soprattutto quando sono imbarazzata.
E mi scappa da ridere, a volte, a sproposito.

Grazie a Simonetta Rho e ai tecnici di Torino. Loro sì, sono stati bravi.



mercoledì 3 aprile 2013

Quando la notte si scioglie nel giorno


Lui era diverso da me, in ogni gesto, in ogni sua parola. Eppure ci cercavamo da anni o forse secoli. Lui era muschio, ombra dei rami, profumo di pino e abete bagnato. Io ero la luce spietata di mezzogiorno, ero il richiamo antico della cicala, ero la terra secca ad agosto.  Lo seguii devotamente, lui fuggì. Io non mi arresi. Attendevo l’alba ogni giorno. Le finestre si appannavano e io cercavo il suo volto nel loro riflesso.
Infine una sera ci incontrammo e il cielo era una pioggia lenta di stelle.
Lui non se ne andò. Mi guardò a lungo, immobile.

Io, arida terra, lui lupo troppo stanco di vagare senza meta, ci sfioriamo. È una promessa che brucia dentro di me, è una promessa che ripeto cento volte al giorno, guardandolo respirare con gli occhi chiusi.