venerdì 31 gennaio 2014

La luna di Kate



Kate guarda il cielo. Di notte. Di giorno.

Kate abita in un paese a Nord. La neve si ferma sulle case, sugli alberi, per molti mesi. La neve è parte del piccolo paese. E’ una continua, multiforme, presenza.

Kate ha 11 anni. Sta ferma nel campo di suo padre e osserva i gabbiani partire. I gabbiani partono sempre.

I gabbiani sanno morire.


- Bisogna zappare!- dice suo padre. Ha la barba grigia e occhi castani piccoli, nascosti dalle guance.
- No! –
- Kate! –
- Ti ho detto di no! –
- Kate! –

La bambina scappa. Attraversa il prato coperto di bianco ghiacciato. Il fumo esce dalle sue labbra. Non c’è altro che bianco tutt’intorno e il paese è stato inghiottito dal grande silenzio. Kate vuole raggiungere il mare e poi vuole salpare. Partire per sempre.

Suo padre non l’insegue. S’inginocchia nella neve e abbassa il capo.




- Dove vai Katyusha! – grida la vecchia Hester. E’ vestita tutta di nero e i suoi occhi sono verdi come quelli dei gatti.
Kate non risponde, continua a correre.




Il mare è agitato. E’ blu come un cielo capovolto, ma senza nuvole. Kate corre fino al Grande Faro. Bussa alla porta rossa.

- Aprimi Jean! – grida. Le sue mani non si possono più muovere. Sa che se avesse aspettato ancora un po’ sarebbe diventata una statua di ghiaccio. Il paese ne è pieno. La porta di legno pitturato si apre. Kate sale le scale a chiocciola mentre i ragni canterini la guardano. I ragni canterini sono insetti che non fanno la tela. Quindi non sono veri ragni. Ma se li ascolti attentamente bisbigliano strane nenie:

- Non puoi partire… - le dicono
- Non puoi attraversar il mare –
Kate li guarda.
- Siete solo stupidi, stupidissimi ragnetti! –

I ragni tacciono.
E poi non hanno occhi.

- Che cosa succede?- E’ Jean, il guardiano del Faro. Ha la barba nera, folta, e gli occhi da lupo.
- Domani parto! – esclama Kate. Ha lo sguardo dorato e le sue lentiggini sembrano stelle in un cielo pallido.
- Devi solo nascondermi per questa notte Jean, ti prego! –

Jean annuisce.

Il mare sotto abbraccia il Faro. Kate sorride.



Kate non è mai scappata da casa. La notte è sempre stata nella sua stanza di legno a respirare gli odori familiari della sua terra. Ora è notte e tutto è nuovo. Jean le ha dato una coperta rossa e Kate si nasconde. Il cielo è infinito dal Faro. Si vedono le costellazioni, fili d’argento uniscono i puntini d’oro. Quando si muovono fanno rumore. Kate si tappa le orecchie. Perché le stelle gridano.
La notte è spaventosa.
Il mare poi è nero. E’ come un grande polipo liquido. E’ un animale crudele e spietato.

- Dove sono i gabbiani? – grida Kate.
Jean si volta e la guarda.
- Dove sono? –
- Dormono –
- Voglio tornare a casa! – mormora la bambina.

- Ora no, ora non puoi… All'alba, forse. Ora c’è lei – e Jean indica la luna che sorge lenta ed enorme dal mare.

La luna ha un grande viso pallido e corroso dall'acqua e dal vento. La luna non ha occhi, come i ragni. Ma canta. E’ una voce nota. Kate non la dimenticherà mai. Viene dal suo passato.

- Non è ancora il tempo – dice la luna.

Kate sorride e abbraccia il suo amico Jean. Il grande viso antico si alza e sparge nel buio la polvere d’argento.
- La luce – mormora Kate.
- C’è ancora la luce –

La notte non è eterna.
Presto arriverà suo padre.


venerdì 24 gennaio 2014

In the shadows

Se tu,
riappari ogni giorno nello specchio, 
io non posso dimenticarti. 
Se tu, 
calpesti le mie speranze, 
ridendo di me,
non posso dimenticarti.
Tu sei il sogno freddo del mattino,
sei la luce inquieta del tramonto, 
sei tutto questo sangue sparso nel cielo.
E non posso dimenticarti.
Neanche se mi maledirai,
neanche se mi insulterai,
le tue sono parole di pioggia
nera
non le temo.
Sono troppo forte 
per arrendermi
alla tua superbia e al tuo pudore.
Sono vecchia
e sono giovane, 
e tu non puoi più ferirmi.

C'è la notte,
non posso evitarla, 
di notte tu,
nella specchio, 
sei insieme a me.
Quando è buio,
le ombre si trasformano
e allora i colori 
non possono più ferirci.
Tutto è silenzioso,
ora.
E io non sono più
il tuo riflesso.










sabato 18 gennaio 2014

Gli alberi dentro

Omar, dentro Alicia, vedeva un bosco.
Se chiudeva gli occhi, nelle sere d'inverno, e pensava all'anima di Alicia, ecco che vedeva alberi fantastici, dalle radici contorte e aeree, dalle foglie venate di blu, come vene. Era un bosco che non poteva esistere nella realtà perché le specie arboree che vi crescevano erano sconosciute agli uomini. Per questo Alicia profumava di terra bagnata e in certi momenti, in cui pareva distante da tutti, i suoi occhi scuri secernevano lacrime gialle e dense, come ferite di un tronco. Era perché lei aveva gli alberi dentro.
Ma il suo capo lo ignorava e continuava a farle pulire i pavimenti e a sgridarla per la sua distrazione.
Alicia veniva dal sud, un sud aspro e senza boschi.

Nessuno, a parte Omar, sospettava la sua vera natura. Solo lui sapeva che dentro di lei crescevano migliaia di storie sussurrate e umide.











sabato 11 gennaio 2014

Rientri in casa. Ti attendo da giorni.


 Novembre 2002

M'insegnasti il volo.
Ora precipito.
Ma non t'importa. Già guardi altrove e io,
allieva distratta dalle nuvole,
annego nell'aria.



Gennaio 2004

Rientri in casa.
Io ti attendo da giorni.
Ho una pistola carica, ma non l'userò.
E' per far paura agli uomini.
Tu, invece,
non sei un uomo.
Hai ali grandi
e occhi liquidi,
da bambino.

Io difenderò la tua innocenza.





lunedì 6 gennaio 2014

L'istante ritrovato

Tutti sembrano felici in tv. Le donne sono sempre bellissime, gli uomini sorridono compiaciuti del loro potere. Tutto il mondo si muove troppo velocemente e io non sono che un relitto. Combatto una malattia da anni, eppure a volte mi chiedo perché.
 Perché le mie gambe sono così gonfie, perché il mio cuore ha dei battiti irregolari, perché i dolori mi divorano le ossa. Poi mi dico che è normale, non sono più così giovane. Ma la discesa della vita è così ripida, a un tratto ti trovi vecchia. Le mani. Non riconosco più le mie mani. Un tempo era diverso e allora mi rifugio nel passato. Rivedo la mia vita, come in una pellicola ingiallita, tutti gli istanti che ancora la mia memoria conserva.


 Nonno nel 1944




Rivedo l'inverno mite a Roma, le statue come catturate da una danza lenta, il mio sorriso, oh sì, era bellissimo il mio sorriso e tu non potevi smettere di guardarmi. Tu, avevi attraversato l'Italia in guerra per vedermi. Roma città aperta, lì ci eravamo rifugiati. Ma mio padre non voleva che ti vedessi, tu eri un nemico, un nemico del popolo.

Avevi negli occhi la luce degli uragani, era una luce che mi abbracciava lentamente, un fuoco dolce che non ho mai più sentito, una luce in cui avrei voluto smarrirmi, per sempre.

- Fuggiamo - hai detto tu - sono qui per portarti via -
Ma no, io non potevo farlo, avrei spezzato il cuore di mio padre, lo avrei ucciso.
- No - dissi io.
E mi odiai.

Roma sotto la pioggia. Il tuo cappotto logoro. Tu sei solo un comunista. Io ti devo odiare, ma non ci riesco, qualcuno mi aiuti, perché una crepa ora si è aperta dentro di me.

Chissà quando si chiuderà.

Torino, 1947. Una Roma più scura, come me. Una città adatta a me, perché non ho più la luce dei vent'anni. Lì ho conosciuto mio marito. Quattro figli, due morti nella mia pancia. Altre crepe, come una statua mi spezzerò.
 Ma non è stato così.
Sono cresciuta anche all'ombra e le mie piante sono splendide e lucenti.

Quanti se ne sono andati. Ora tocca a me?

Eppure qualcosa mi cura l'anima, come una carezza d'acqua sulle ferite antiche e nuove. Mi cura il ricordo di tutto, ricordo che si fa sempre più confuso, ma ancora è vivo in me, in qualche spazio remoto della mia coscienza.

In questa stanza danzano allora le statue di Roma, la luce del fiume attraversa lo specchio, entra nei bicchieri esposti nella credenza e il sole è una scoperta sconvolgente fuori dai vetri.  É quello stesso sole di allora e io, vecchia bambina, piango davanti alla mia vita ritrovata.