venerdì 5 dicembre 2014

La tessitrice

Aspetto l'inverno ricamando centrini bianchi di cotone.

Nessuno sa che il soggetto dei miei umili lavori è il cielo. Ricamo stelle e costellazioni, eternamente insoddisfatta del risultato. I miei merletti sembrano ragnatele incomprensibili più che faticosi prodotti di ricerca. I vicini mi guardano con severità o con scherno. Nessuno paga il mio lavoro.

Esco poco perchè le strade sono sempre più affollate e la luce elettrica illumina di azzurro i volti dei passanti. Ciò m'inquieta. Vorrei parlare con qualcuno, ma con chi?


Ho provato a socializzare con la panettiera: le ho portato un mio centrino, quello con la luna piena affondata nel mare, ma lei si è messa a ridere. Pensava che scherzassi.
Anch'io ho sorriso, fingendo un gioco il mio tormento.
La panettiera vende pane e aria; il suo negozio è pieno di nuvole, ma nessuno lo sa.

Lei ora mi guarda divertita, le sue labbra sono sempre così lucide che sembrano strani fiori di mare. Per questo non esco molto.
Sospiro, tra le matasse bianche, nelle stanze vuote. Disfo i merletti con gli occhi fissi al cielo, dietro ai vetri.

   Fabian Perez


Attendo la neve.
Forse con l'argento stellato dei fiocchi tutto sarà più semplice, riuscirò finalmente a completare la mia opera.

Ecco, a tratti riesco anche a vederla: è un enorme tessuto decorato in cui petali bianchi, perle screziate, scie veloci di stelle si intersecano con violenza e con armonia allo stesso tempo. E' la raffigurazione del suono del cielo, una mappa dell'infinito.
Potrebbe occupare una stanza intera. Una stanza che servirà soltanto per sognare.

Si entra senza scarpe e si cammina sull'ordito e poi ci si stende sopra, respirando lentamente, supini. Così si sentirà la musica delle costellazioni e si vedranno le gocce di cristallo, perfette nella loro glaciale simmetria, uscire dal soffitto. Si schiuderanno come gemme minuscole e preziose.

Riapro gli occhi, appagata dal mio progetto, e guardo il mio lavoro.
Non vedo altro che un nodo incomprensibile, un caos di cordicelle e punti inventati, larghi passaggi senza logica.
Le mia dita bianche si confondono tra i fili della matassa e tremano. Sono zampe di ragno decaduto, non riuscirò mai a creare tele meravigliose come le loro.

Mi aggiro per le stanze buie, echeggianti; bevo molta acqua, ascolto la scia delle auto, sotto casa mia.
Poi ricomincio a lavorare.
Accarezzo le perle e piango, pensando alle gocce di rugiada.





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