martedì 17 dicembre 2019

Waiting for the miracle


Io la conoscevo da quando era bambina, ma non l'avevo mai vista così.
Era quasi Natale, Torino brillava, le luci delle strade si riflettevano nei suoi occhi. Era come sopraffatta da qualcosa che non conosceva, da qualcosa che temeva. 
Entrava in chiesa e guardava il crocifisso, il bambino era cresciuto ed era morto in modo crudele.
Il figlio del falegname non era mai stato capito dagli uomini.
Amava restare da sola in chiesa, ascoltare il silenzio delle navate deserte, avvertiva il peso degli anni, il tempo s'ingrandiva e si rimpiccioliva nelle chiese vuote.
Io ero affascinato da lei, lo ero sempre stato, ma non glielo avevo mai detto.
E poi lei mi era proibita, aveva un altro e io avevo la mia famiglia.
Però eravamo amici e sapevo che lei sarebbe morta per me.


 Jonas Hafner



Quel giorno c'incontrammo per caso, nevicava. 
Camminammo un po' insieme, parlando di quando eravamo bambini. Lei ricordava tutto di me, io no, io avevo dimenticato troppe cose, ma era bello riascoltare la mia vita attraverso la sua voce.
Si fermò di colpo, lo sguardo perso in una lontananza sfumata.
La neve tutt'intorno a lei, come polvere di luce.
- Sono malata - disse.
- Non ne avrò per molto, ma credo nei miracoli. Prega per me -
Qualcosa che si rompe in me, i cocci di vetro mi frantumano l'anima. Emorragia interna.

La rivedo in un Natale di anni fa, aveva nevicato molto, giocavamo a nascondino nel cortile di casa sua. Io e lei dietro alla macchina di suo padre.
1, 2, 3, 4, 5, 20, 21.
Ci guardavamo e io avrei voluto baciarla, ma lei abbassò gli occhi e scappò via.

Fu presa,
aveva perso,
ma avevo perso anch'io.

- Anch'io credo nei miracoli - le dico.
Ci abbracciamo forte e non importa se sto piangendo, non importa se piange anche lei.
Non importa se la neve si ferma nei nostri capelli,
se l'ombrello è caduto e la gente forse si è fermata a guardarci.
Ci abbracciamo forte e già so che tutto andrà bene.
Aspettando un miracolo che forse non arriverà mai, io e lei, uniti, come quando, a 5 anni, ci siamo presi per mano, per non cadere.














martedì 10 dicembre 2019

La fabbrica di plastica

La fabbrica di plastica è un romanzo avvincente, di Dario Gigli, edito dalla casa editrice indipendente Ali&No.

Marco, il protagonista, si trova a lavorare come educatore in una struttura in cui utenti con disagio psichico assemblano giocattoli per una fabbrica di plastica.
Lui stesso è in un periodo di smarrimento e prova a mettere insieme i pezzi della sua anima, divisa tra razionalità e istinto.

In tutto il libro è presente questo dissidio tra ciò che Marco ritiene giusto e la passione, la violenza, il raptus.

La scrittura di Dario Gigli è attenta ai dettagli e non risparmia nulla al lettore, catapultato nella vita di Marco, Marco che s'innamora e si perde, in un rapporto intenso e a tratti crudele con una donna più grande di lui.

In questo romanzo il disagio psichico non è visto con distacco, ma con sofferta partecipazione.

I dolori, i traumi subiti, la difficoltà a relazionarsi in modo autentico, l'incomunicabilità, sono tutti aspetti che riguardano ognuno di noi.

Nessuno è fuori dalla fabbrica di plastica, tutti proviamo a mettere insieme i pezzi della nostra vita, come i personaggi di questo romanzo, combattuti, a volte perdenti, spesso incompleti e, per questo,
profondamente veri.






martedì 26 novembre 2019

The curse


Il freddo era arrivato e tu avevi passato la frontiera.
Io lavoravo duramente. Cucinavo, pulivo la casa, parlavo con le piante, spolveravo, correvo per la città immemore.
Avevo dimenticato le mie promesse?
Chi ero diventata?
Una straniera. Una straniera, come te.
I miei capelli si contorcevano, la mia pelle vibrava sotto le maglie pesanti, i miei occhi riflettevano tutte le nuvole che avevo visto nella mia vita.



I miei sogni di notte erano liquidi. Ero nell'acqua, navigavo per ore intere, mi perdevo tra le costellazione sconosciute.
Ma era inutile tentare di fuggire via da te. Ero sotto il tuo incantesimo.
Le tue mani, come una carezza rimossa,
le tue mani
che creano e plasmano,
la tua voce
che racconta, che mi porta lontano, che mi fa viaggiare stando ferma.
Quando parlo con te vedo i tuoi universi, vedo le strade che hai percorso, i cieli, i deserti, le vie trafficate, sento gli odori forti delle spezie e sento il tuo destino.
Come inciso sul palmo, la tua via.

Il solco che hai creato dentro di me allora fiorisce, come in primavera.
I semi sono rimasti a lungo sotterrati, in quest’inverno precoce.
L’acqua dei tuoi silenzi è penetrata, goccia a goccia.
Lentamente ha dissetato le piccole piante che ora crescono, come figlie inconsapevoli.

E io continuo a raccontare storie, cercando di non pensare a quei fiori che pulsano dolorosamente in me.










martedì 12 novembre 2019

L'edera

Vivevo di vento, in quei giorni. Camminavo molto, parlavo con le persone come nel sonno, salutavo i fantasmi alle finestre.
Avevano volti pallidi, ma gli occhi erano vivi, luci ed ombre brillavano in loro.
Mi facevano cenni di benevola comprensione con le mani bianche.
Appartenevo a loro, appartenevo al mondo dei sopravvissuti. Ero lì, ma ero anche altrove. Dietro gli specchi, salivo scale polverose, infine arrivavo a te.





Tu aprivi le mani, erano ferite.
Io avevo le tracce del pianto e delle attese sulla faccia, ma sorrisi.
Avevamo troppe cose da dirci, il tempo poteva pure scorrere, la cosa non ci riguardava più.
Io e te nel mondo parallelo in cui i fiori di novembre si arrampicano sulle case, l'edera ci raggiunge, si avvinghia lentamente ai nostri corpi.
Io e te, così lontani, così vicini.





La città come uno dei nostri sogni, si muove lentamente insieme a noi.
Io ti seguirò dovunque andrai e sarò con te anche quando avrai paura, perché l'ho promesso alle stelle e a loro non posso mentire.
Era estate e piangevo guardando le scie ghiacciate nel cielo e a nulla valeva maledirmi e maledirti. Tu eri in me, eri con me.
Anche mentre m'immergevo nel mare e giocavo con i pesci, anche allora, sempre.
Portami con te, non ti disturberò. Saprò ascoltare i tuoi silenzi e ti stringerò quando il freddo ricamerà di petali bianchi i vetri delle finestre.
E le terre lontane, le pianure nebbiose, le metropoli infinite, non ti feriranno.
Perché non sarai solo.







martedì 29 ottobre 2019

Il gioco del teatro

Sono nata in una famiglia in cui il teatro non era un mestiere, ma una passione nascosta.

Mia madre diventava una strega, costruiva teatrini per burattini, draghi di cartapesta giganteschi per le sfilate di carnevale, scriveva copioni per recite fino a notte fonda, eppure diceva che il suo mestiere era un altro, il teatro era solo un diversivo, una distrazione dagli impegni quotidiani.








Noi bambini vivevamo recitando. Io costruivo storie complesse che duravano anni con mia sorella, complice dell'incanto.
Io e lei, uniche depositarie dei segreti del nostro mondo parallelo, in cui nessuno poteva accedere.

Mio padre assecondava il gioco del teatro, anche lui affascinato dalla finzione, scattava fotografie in cui il reale si distorceva. Cercava la luce giusta, riprendeva con la sua cinepresa istanti irripetibili e li rallentava.
Lui e il cinema, lui e il mondo soprannaturale.

Recitavamo in spettacoli creati da mia madre e ricordo l'emozione del palco, quando il sipario era ancora chiuso e sentivi il pubblico là fuori, palpitante, vivo. Era lì per te.





Ancora oggi vibro per la rappresentazione e nei bambini rivedo la mia emozione. La musica, il ritmo, i loro occhi fissi sul pubblico. Andrà tutto bene, dico loro.
Ed è vero, sono meravigliosi.
Si apre il sipario immaginario e loro sono lì, diventano insetti fatati, spuntano ali luminose sulle loro schiene, appaiono cavalli, gufi, civette... La stanza si riempie di fiori stregati ed alberi dalle fronde folte e ventose.
Ecco qui; il gioco del teatro è iniziato un'altra volta.
E io lo so che andrà avanti fino alle fine dei miei giorni.


 Diapositive 1985






martedì 1 ottobre 2019

Stand by me

Balla sul mondo che cade
e stringimi sul precipizio.

Nel caldo dell'autunno
più non temo
le tue parole
e la tua presenza,
costante,
nell'assenza,
perché ho troppo sofferto, 
ho aspettato per troppi giorni, 
troppe notti.

E, ora, 
non ho più paura.

Balla con me, 
vorrei vederti sorridere,
vederti correre, 
forte, 
insieme,
come ragazzi
impazziti
e felici, 
incoscienti.

 Claude Lelouch


Balla e dimentica
tutto il dolore
del mondo, 
come croci su di noi, 
sulla nostra pelle
le cicatrici del rancore
di questi anni malati,
delle parole non dette, 
di quelle sussurrate alla notte,
di nascosto, 
maledicendosi mille volte.

Avvicinati,
il tempo si è capovolto,
il mio passato è il mio futuro,
sono pronta ad ascoltarti.

Ballando in questa calda mattina
d'ottobre
impariamo i nostri nomi.

Io non ho mai dimenticato il tuo.






mercoledì 18 settembre 2019

A settembre

 A settembre scrollati i sogni dai capelli, risciacqua via tutte le illusioni dell'estate,
guardati senza vestiti, davanti allo specchio.
Accarezza i lividi, le rughe, le vene che emergono,
accarezza i segni del dolore e della stanchezza.
Abbracciati e non stupirti se ti sentirai felice, per un momento.

A settembre recupera tutte le foto di te,
di quando eri bambino e ancora ci credevi,
di quando hai conosciuto l'amore,
di quando sei caduto e hai sentito male per i frammenti di vetro dentro di te,
recupera tutto.
Respira.
Cammina,
ascolta.

A settembre l'estate non muore ancora e la notte è ancora lunga,
per te
e
per me.

Combatto stancamente le mie piccole battaglie quotidiane,
guerriera, paladina degli ultimi,
non ho più la forza per combattere te.

E mi arrendo.
Alzo le braccia, prendi i miei sogni,
sono lì, davanti a te.
Strappali o custodiscili,
sono perduta,
ormai.
E non so più il mio nome.
Vorrei solo entrare in te,
e vivere di dimenticanza.


 Cath Waters





venerdì 30 agosto 2019

Il mondo sommerso

Vivevo a metà. Di giorno ero una cameriera diligente. Mi muovevo svelta tra i tavoli e il bancone, spillavo la birra, cercavo di dimenticare i tuoi occhi, fissi dentro di me come una dolce maledizione.
Di notte, nel mio letto, la tua presenza si faceva luminosa e io ti sentivo.
Potevo piangere quanto volevo, cercare di contare tutte le stelle sul soffitto, osservare gli anelli di Saturno, perdermi nel muoversi lento delle costellazioni, nella rotazione di Venere o di Marte, tu eri lì.


Entravo allora nel mondo sommerso dei sogni.
C'erano i miei fantasmi, mi accompagnavano nella profondità del mare, tra le mante, i pesci pilota, gli anemoni, le murene che aprivano la bocca e mi fissavano con i loro occhi bianchi.
Non avevo paura con loro, mi conducevano con sicurezza nel profondo dell'oceano.
- Non ti spezzerai - mi dicevano per rassicurarmi - E non annegherai -
Laggiù c'era la casa della mia infanzia, era tutto come allora, virato al blu, ma le alghe avevano invaso le stanze. Il cuore batteva troppo forte, mi mancava l'aria.
Volevo tornare in superficie. Su, più su.

Nel letto c'ero solo più io, le stelle erano precipitate.
Io e il buio,
io e la mancanza
di una voce,
di uno sguardo,
di una luce che avevo visto in te.


    Cocoparisienne


Lavoravo con meticolosità al mattino, sorridevo, ero io.

Ma bastava poco; lo scorrere dell'acqua nel lavandino, il fruscio delle foglie di un albero, il dolce rumore del vento e il mondo sommerso ritornava, in un'onda tiepida, mi riabbracciava.
Non potevo sfuggire a quell'incantesimo.

Piccole gocce di mare sulla mia pelle, come il ricordo di te.

Alzavo il calice, per un momento e brindavo al tuo sorriso, asciugando un lacrima che scivolava giù, a tradimento. Non mi era concesso piangere.

Tornavo al mio lavoro, tra i tavoli e i clienti, schivando i pesci farfalla e i polpi.

Forse una notte tu saresti rimasto con me, forse un giorno ci saremmo immersi insieme nel mondo sommerso.






 

giovedì 8 agosto 2019

La casa della memoria

Partii da tutto. Lasciai la città e tutto ciò che ero stata, abbandonai la parte più diligente di me e presi il treno.

Piansi di nascosto fissando le case, i campi, le colline, un unico panorama indistinto fuori dal finestrino.
Le nuvole non avevano occhi eppure mi osservavano.
Sentivo di aver perso ogni cosa, ero frantumata.
Pezzi di me ovunque.



 Johan Van der Keuken




Arrivai nella grande casa della nonna, io da bambina la chiamavo La casa della memoria.
Il giardino era meravigliosamente selvaggio, piccoli fiori celesti mi sussurravano frasi incomprensibili.
- Torna bambina -
- Apri le tue ali -
- Corri -
- La porta, è lì, la vedi? -
- Aprila  -
Farfalle dalle sfumature delicate tracciavano la strada che mi avrebbe portato alla casa. Avanzai lentamente tra gli iris, la gramigna, le ortiche, i rovi.


 Ottar Walderhaug



Entrai e mi accolse la penombra e tutti i miei ricordi.

Pulii la casa con passione, se lavoro dimentico, mi dicevo. Se lavoro non penso.
Ma intanto la mente era lì con te, lontano, chissà sotto quale cielo.


Trascorsero giorni solitari.
Io,
il giardino,
il volo delle libellule,
i grilli,
le stelle pulsanti,
il desiderio,
le mie mani sui petali,
la terra bagnata,
le lacrime.

Un pomeriggio sentii il suono di un'armonica.
Il cuore. Non c'era più il mio cuore.
Era trafitto.
L'armonica, tu.





Eri là fuori. Mi sorridevi, forse non credevi neanche tu di essere lì, in quella casa remota, in mezzo alle farfalle dalle ali bianche e d'oro, tra i rovi e la malva.
- Posso entrare? -
- Certo ... -
Ero falsamente serena, in realtà volevo piangere di gioia.
Il giardino attraverso i tuoi occhi era un luogo incantato di una bellezza remota, come nei sogni in cui la luce è soffocata e diffusa e il paesaggio è confuso, eppure meraviglioso.
E tu eri così vicino e i tuoi occhi mi parlavano.
Non avevo bisogno d'altro.
Le parole non mi servivano.
Respirai il tuo silenzio.

Poi iniziasti a suonare per me,
seduto per terra, quasi nascosto dalle piante infestanti.
Mi guardavi e io tornavo bambina,
e tu con me;
ci  abbracciavamo senza toccarci,
volevamo correre via,
lontano da tutti,
per guardare il cielo da vicino
e non tornare più.




martedì 9 luglio 2019

Rising sun

Ti ricordi di me?

Il mare,
l'orizzonte confuso,
i miei piedi nell'acqua,
il vestito che si bagna, la tua voce che dice
- Dai no, non farlo -
Eppure tu lo vuoi, vuoi bagnarti, vuoi perdere il controllo, entrando nel buio e nell'acqua, ma hai paura.

(Hai paura di me da sempre, da quando mi hai vista la prima volta e hai pensato che i miei occhi ti bucavano l'anima e che avresti voluto stringermi, ma poi subito hai cacciato via quell'idea e hai murato i tuoi pensieri, hai strappato loro le ali, io ho visto il sangue).

 Anna Morosini



- Vieni con me -
Il mare non era il mio elemento e neanche il tuo, ma c'immergemmo come per combatterlo e combatterci.
La nostra era un'inutile battaglia.

 Era notte, l'acqua era scura, pesci sinuosi ci accarezzavano le gambe, le stelle piangevano rigando il cielo, gocce di mare sul tuo viso e sul mio.

Cosa nascondono le conchiglie? Perché mi parlano sempre di qualcosa che non c'è? Perché? Sono ossessive, devono rimanere là sotto, non devo raccoglierle più. Mi dicevo e intanto ti guardavo; eri bello nel chiarore del sole nascente.
Non ti avevo mai visto all'alba. I capelli bagnati, una luce calda negli occhi, scompariva a tratti e poi tornava.
Fissavi il mio corpo, poi distoglievi lo sguardo e cercavi la linea dell'orizzonte.


 Valentin Flouraud


Il sole sorgeva dietro il promontorio lentamente, senza suono. Io invece avrei voluto gridare, ma certo non era appropriato e il vestito bagnato era così pesante, faticavo a nuotare.

Uscii barcollando, temevo di scivolare sui sassi coperti di alghe.
Avevo freddo ed ero stata un'ingenua, i miei pensieri rotolavano via come la ghiaia trascinata dalle onde.


Judd Waugh


Anche tu eri lì, fuori dall'acqua, tremavi. Temevi di dire o fare la cosa sbagliata.
- Abbracciami, ti prego - dissi e mi morsi il labbro.

Ora tutto avrebbe potuto incrinarsi per sempre, scivolare via nell'acqua in un gorgo impietoso.
- Solo un abbraccio, mi basta -

Era vero, non volevo altro.
Solo la quiete della tua pelle per calmare le fiamme dentro di me, i miei incendi, la foresta divorata dalla brace.

Insieme,
vicini,
uniti per un momento
 e poi un altro
 e un altro ancora.

Piangere non serviva più.




martedì 18 giugno 2019

Il tuo fuoco, la mia acqua


Era di nuovo estate. Si stava fuori, si guardava il cielo, gridando giù per i campi. La scuola era finita.
Come ogni anno erano arrivati gli artisti di strada. Stavano in periferia, in accampamenti di fortuna. Dormivano in macchina o nei furgoni. Anche Jo.


 Vladimir Mishukov



Jo veniva dall'est, aveva attraversato troppe tempeste, lo si vedeva dal viso. Una cicatrice sulle labbra, i capelli lunghi ricciuti, le rughe che segnavano la pelle, per ogni ruga c'era un sorriso o un dolore nascosto. Gli occhi erano scuri, ma a tratti un guizzo di luce li attraversava, come una stella cadente, all'improvviso.
Era quella luce che aveva incantato Annalù. 



Anna Luisa, per tutti Annalù, aveva 13 anni e non parlava.  Dicevano fosse muta, di fatto forse non era muta, ma era solo triste.
I suoi genitori si picchiavano, si odiavano da tempo, i suoi fratelli combattevano tra loro stanche battaglie di sopravvivenza. Annalù già a tre anni si rifugiò in un mondo segreto. Disegnava paesi immaginari fatti di nuvole parlanti, ragni acquatici,  pesci volanti, galassie luminose e lontane.
Annalù riempiva i suoi quaderni di questi sogni, si nutriva d'immaginario.
Fuggiva dalla sua realtà e piangeva di nascosto, di notte.


                            


Jo era un mangiafuoco. Sapeva creare scintille e galassie meravigliose nella notte. Quando arrivava la Fiera dell'Estate, al paese, tutti i ragazzi aspettavano lui e gli altri artisti come una liberazione. Arrivava la magia, arrivava l'incanto.
C'erano gli acrobati, i clown-giocolieri, la maga che prediceva il futuro, ma lui era il pezzo forte. Si allenava per giorni con le torce, doveva fare attenzione, il suo era un lavoro pericoloso che elettrizzava tutti. I clown suonavano i tamburi e lui, in mezzo al buio, seguiva il ritmo, padrone delle fiamme.



Annalù andava tutti i pomeriggi a guardare Jo che provava. 

Gli altri ragazzi la prendevano in giro: Annalù ama lo sputafuoco! Ma non vedi che è più grande di te! Neanche ti vede! Annalù - 

E le tiravano un po' di terra addosso, ma lei li ignorava. 

Non capivano, non potevano capire cosa provasse.

Lei disegnava fissando il fuoco che volteggiava davanti a lei.
Ed ogni giorno creava un mondo fatto di carta e lo donava a Jo.





Lunedì: una foglia sospesa nel cielo. La foglia aveva delle sfumature notturne e lui ripensò a qualcosa che aveva dimenticato. Quel colore lo riportava indietro di mille anni, o forse di più. Forse quel colore lo aveva soltanto sognato, non sapeva quando.


Martedì: una casa nella foresta. La pioggia aveva coperto di piccole gocce l'erba, si sentiva il profumo dell'acqua e della terra umida, come nelle favole che gli raccontava sua mamma, tanto tempo fa. 
Verde come il destino e come la voglia di correre forte in un prato. 
Verde come Mary, la sua donna 
e verde come Jack e Jim, i suoi figli.




Mercoledì: un bambino con una volpe selvatica, una volpe dal pelo di fuoco. 
Il bambino abbracciava la volpe ed era felice, ma non sapeva che avrebbe dovuto lasciarla, anche se alcuni amici non si separano mai, neanche volendo, rimangono collegati da fili sottili ed invisibili.



Giovedì: una bambina sirena, una bambina dai capelli lunghi castani, gli occhi mutevoli e la coda di pesce dalle squame azzurro- verde. Lei non parlava, ma raccontava con le immagini tutta la sua storia, tutte le sue mute speranze. Era Annalù.



Venerdì era l'ultimo giorno. 

La Fiera d'Estate era finita, gli artisti di strada caricavano i loro bagagli sulle auto diretti verso altri spettacoli, altri bambini, altri cieli.

Annalù non disegnò nulla.
Fissava il furgone di Jo e anche i suoi occhi tacevano.
-Non hai favole per me oggi? –
Lei tacque, come fosse sott’acqua. Lui aveva tracce di fumo e di fuoco sulla pelle, lei invece era  fatta di mare e silenzio.
Jo le accarezzò i capelli e se ne andò, voltandosi ancora una volta. Una luce, remota, nei suoi occhi.

Annalù rivide la brace, le scintille nel nero,
la vertigine delle stelle,
costellazioni create da lui,
con il suo fiato,
con la sua magia
e il ritmo dei tamburi.
E Jo
sempre più lontano,
E Jo
che se ne va.




La polvere del furgone,
il sole a picco,
il sole è spietato.

Annalù era solo una ragazzina, ma sapeva creare mille mondi.
Lo avrebbe fatto ancora e ancora.

Per lui,
per lei,
per la vita,
per i tramonti e per la luce dell'alba.

Annalù si ritrovava tutti i pomeriggi là dove un tempo c'erano stati gli artisti della Fiera e disegnava. Sorrideva a tratti,
mentre visi e universi uscivano dalla sua penna.
Qualcuno disse che era molto brava, che sarebbe diventata una pittrice, che un giorno se ne sarebbe andata via, lontano.
Lei lo sentiva vicino, lo sentiva sempre dentro di sé, sentiva di essergli accanto nel suo vagabondare.

 Federica Masini


Jo continuava la sua vita da attore e giocoliere, nei mercati, nei teatri improvvisati del mondo. Aveva anche una famiglia, una moglie, dei figli che amava. E aveva dei foglietti stropicciati, nascosti in una scatoletta di cartone. Erano i disegni di una bambina speciale e parlavano di lui.
Talvolta li guardava e ogni volta gli raccontavano qualcosa di nuovo e di antico.

La strada è lunga, gli dicevano,
in salita.
C'è la vita e c'è la morte,
c'è il dolore e la speranza,
ma in fondo a tutto
c'è quella luce.
Non spegnerla mai,
ti prego,
non spegnerla mai. 







martedì 4 giugno 2019

Bang bang

Sono partito e non so quando ritornerò. Un viaggio dentro e fuori di me, tu non lo sai.

Sei ingenua e perduta.
Io parto e vado lontano, così è la vita.
Non portare rancore.

René-Jacques 



Ho distrutto una parte di me, camminando nella notte fino all'alba.

Il cielo infine era troppo vicino.

Sono scappato, le vie, le case, i palazzi, come dopo una guerra.
Ma la guerra era in me.
Sanguinavo dentro, lentamente.
Questo dolore ancora continua.

E tu eri lì, bella come non ti ricordavo.
Anche tu avevi visto il baratro, anche tu eri stata troppo vicina al precipizio.
Uno, due, tre.
Chi hai sognato stanotte?
Non lo voglio sapere, perché potrei farti del male.

Bambina,
io e te per sempre,
combattenti,
perdenti,
amanti,
nemici,
fratelli,
sulla strada deserta.

Non posso abbandonare tutto ciò che siamo stati,
voglio vederti senza nient'altro addosso che la tua voglia di me.
Voglio il mare su di noi.
Le nuvole,
nei tuoi occhi
e i tuoi respiri,
sempre più brevi.



 Jean-Claude Bélégou



E ti vedo bambina,
ti vedo ragazza,
mamma,
e donna come ora,
e piango.
Perché il fuoco è sotto di noi,
il fuoco è dentro di noi.

Stringimi più forte,
non farmi andare via.





martedì 21 maggio 2019

Shadows

Scappare dai propri pensieri non basta quando il  vento si alza e scardina ogni cosa.

Tutte le tue certezze, tutti i tuoi programmi, via, nel cielo sconfinato di maggio.

E tu ti senti così inerme, senza corazza, nudo. Ed io vorrei poterti abbracciare, ma non posso.

Centinaia di parole, chiuse dentro di me, centinaia di storie che non possono essere raccontate.

Io, tu
e tutto il cielo capovolto.

Io, tu
e l'infinito dentro i nostri occhi.





Tutto quello che sei io non lo so e non lo posso sapere, eppure lo vorrei.
Vorrei poter ascoltare tutta la tua storia.

Mi siederei sull'erba e guarderei le ombre mutevoli sul tuo viso, perché hai tanto camminato e la strada ha lasciato il segno su di te. La polvere nei tuoi capelli, vorrei poterli accarezzare e vorrei vederti sorridere.

 Hajime Namike



 Ti parlerei dei giorni perduti, di quando ho corso per vederti e infine tu non c'eri più.

Ti parlerei dei miei giochi da bambina, ti parlerei dell'odore delle albicocche acerbe che rubavo dagli alberi,

della mia casa nascosta dall'erba troppo alta, ti parlerei delle mie cadute e del dolore, ma anche della gioia e della speranza, piccoli semi dentro di me.

E tu forse sorrideresti o forse no.
Forse mi accarezzeresti con gli occhi ricordando i giorni della tua infanzia.

Io non so più niente,
sotto il sole e gli acquazzoni improvvisi,
vivo di gocce e d'istanti.
Tutte le mie storie s'accavallano, vorrei poter aprire le finestre e farle uscire, ma no, non posso.

Allora ti scrivo lunghe lettere che mai leggerai, invento una leggenda che parla di te, del tuo mondo, dei personaggi che vivono in te, con te, come compagni vivi e silenziosi, sempre al tuo fianco.

Regalo al vento tutte le mie storie, l'unico che potrà leggerle sarà lui.
In fondo sono solo una piccola cantastorie che ama imbastire trame e ascoltare i bambini, i loro sogni e le loro paure.


 Bernard Plossu


Io,
il vento,
i bambini,
le parole,
l'attesa,
l'infinita voglia di te,
la tua voce (l'ascolto talvolta in una conchiglia e m'addormento con lei),
l'inquieta speranza.

(Ogni giorno è l'ultimo giorno,
fratello,
amico mio).






domenica 5 maggio 2019

Fuori dal buio

Lui era chiuso in sé, come un albero in inverno; lei era una libellula in cerca d'acqua, attenta ai singoli raggi del sole di maggio. Lei viveva di cielo, si fermava e lo guardava. Le nuvole non sono mai uguali, soprattutto prima della tempesta.

Malcolm Liepke


Lui non voleva soffrire, lei non voleva inaridirsi.
Si conobbero in primavera. Un fulmine che crepa il legno internamente, la paura del dolore.
La paura dell'abbandono.
- Io non ti lascerò - pensava lei, ma non poteva dirglielo.
Tutto il mondo attorno a loro girava: le case, le finestre rotte, gli specchi, le scale mai percorse insieme, i viaggi, i libri, le poesie.
Scoprirono i loro corpi lentamente, centimetro dopo centimetro, accarezzandosi, guardandosi a lungo, in penombra.
- Raccontami di te - disse lei - voleva sapere, voleva ascoltare la sua storia per entrare in punta di piedi nella sua vita.
E lui le parlò di sé, del tempo antico, del suo lavoro, della nostalgia, del mare e del vento.
Ma poi tacque.
E lei lo cercò ancora.
E rimase solo il suo silenzio.
- Perché? -
Qualcosa che fa male si era aperto nel suo tronco e lei non poteva farci niente.
- Perché? - ripeteva.



Lei ritrovò le sue ali di libellula, provò a volare, ma il cielo era così distante. Infinito e denso, scuro e profondo.

Lui tornò alla vita di sempre, dietro alla telecamera, montando la vita degli altri, film e destini che gli appartenevano, ma solo in superficie.
Lei era qualcosa d'indefinito, un soffio caldo nel suo silenzio, ma doveva dimenticare.

Lui di notte scolpì una figura di donna, incise nel legno un corpo sinuoso dalle ali grandi.

Lei scrisse una lunga storia che parlava di un uomo che aveva perduto la strada e neanche lo sapeva.

Le ali non servono se sai dov'è la felicità,
non serve più scappare.

La felicità è qui, è ora. Si diceva, ma sempre le mancava qualcosa. Un pezzo di sé che aveva perso perdendo lui.

A volte bisogna distruggersi per poter ricominciare.

Kenn Erroll Backhaus


Si lanciò dal ponte che dà sul fiume.
Le sue ali erano fragili e immaginarie.
L'acqua era gelida, era un mattino in cui ti svegli e senti di aver perso.

Ma tornò su e nuotò, una forza che non conosceva entrò in lei.
C'era solo più lei, l'acqua e il suo destino sulla pelle bagnata.
Doveva sopravvivere, doveva andare avanti.
Fuori dal buio.