venerdì 30 agosto 2019

Il mondo sommerso

Vivevo a metà. Di giorno ero una cameriera diligente. Mi muovevo svelta tra i tavoli e il bancone, spillavo la birra, cercavo di dimenticare i tuoi occhi, fissi dentro di me come una dolce maledizione.
Di notte, nel mio letto, la tua presenza si faceva luminosa e io ti sentivo.
Potevo piangere quanto volevo, cercare di contare tutte le stelle sul soffitto, osservare gli anelli di Saturno, perdermi nel muoversi lento delle costellazioni, nella rotazione di Venere o di Marte, tu eri lì.


Entravo allora nel mondo sommerso dei sogni.
C'erano i miei fantasmi, mi accompagnavano nella profondità del mare, tra le mante, i pesci pilota, gli anemoni, le murene che aprivano la bocca e mi fissavano con i loro occhi bianchi.
Non avevo paura con loro, mi conducevano con sicurezza nel profondo dell'oceano.
- Non ti spezzerai - mi dicevano per rassicurarmi - E non annegherai -
Laggiù c'era la casa della mia infanzia, era tutto come allora, virato al blu, ma le alghe avevano invaso le stanze. Il cuore batteva troppo forte, mi mancava l'aria.
Volevo tornare in superficie. Su, più su.

Nel letto c'ero solo più io, le stelle erano precipitate.
Io e il buio,
io e la mancanza
di una voce,
di uno sguardo,
di una luce che avevo visto in te.


    Cocoparisienne


Lavoravo con meticolosità al mattino, sorridevo, ero io.

Ma bastava poco; lo scorrere dell'acqua nel lavandino, il fruscio delle foglie di un albero, il dolce rumore del vento e il mondo sommerso ritornava, in un'onda tiepida, mi riabbracciava.
Non potevo sfuggire a quell'incantesimo.

Piccole gocce di mare sulla mia pelle, come il ricordo di te.

Alzavo il calice, per un momento e brindavo al tuo sorriso, asciugando un lacrima che scivolava giù, a tradimento. Non mi era concesso piangere.

Tornavo al mio lavoro, tra i tavoli e i clienti, schivando i pesci farfalla e i polpi.

Forse una notte tu saresti rimasto con me, forse un giorno ci saremmo immersi insieme nel mondo sommerso.






 

giovedì 8 agosto 2019

La casa della memoria

Partii da tutto. Lasciai la città e tutto ciò che ero stata, abbandonai la parte più diligente di me e presi il treno.

Piansi di nascosto fissando le case, i campi, le colline, un unico panorama indistinto fuori dal finestrino.
Le nuvole non avevano occhi eppure mi osservavano.
Sentivo di aver perso ogni cosa, ero frantumata.
Pezzi di me ovunque.



 Johan Van der Keuken




Arrivai nella grande casa della nonna, io da bambina la chiamavo La casa della memoria.
Il giardino era meravigliosamente selvaggio, piccoli fiori celesti mi sussurravano frasi incomprensibili.
- Torna bambina -
- Apri le tue ali -
- Corri -
- La porta, è lì, la vedi? -
- Aprila  -
Farfalle dalle sfumature delicate tracciavano la strada che mi avrebbe portato alla casa. Avanzai lentamente tra gli iris, la gramigna, le ortiche, i rovi.


 Ottar Walderhaug



Entrai e mi accolse la penombra e tutti i miei ricordi.

Pulii la casa con passione, se lavoro dimentico, mi dicevo. Se lavoro non penso.
Ma intanto la mente era lì con te, lontano, chissà sotto quale cielo.


Trascorsero giorni solitari.
Io,
il giardino,
il volo delle libellule,
i grilli,
le stelle pulsanti,
il desiderio,
le mie mani sui petali,
la terra bagnata,
le lacrime.

Un pomeriggio sentii il suono di un'armonica.
Il cuore. Non c'era più il mio cuore.
Era trafitto.
L'armonica, tu.





Eri là fuori. Mi sorridevi, forse non credevi neanche tu di essere lì, in quella casa remota, in mezzo alle farfalle dalle ali bianche e d'oro, tra i rovi e la malva.
- Posso entrare? -
- Certo ... -
Ero falsamente serena, in realtà volevo piangere di gioia.
Il giardino attraverso i tuoi occhi era un luogo incantato di una bellezza remota, come nei sogni in cui la luce è soffocata e diffusa e il paesaggio è confuso, eppure meraviglioso.
E tu eri così vicino e i tuoi occhi mi parlavano.
Non avevo bisogno d'altro.
Le parole non mi servivano.
Respirai il tuo silenzio.

Poi iniziasti a suonare per me,
seduto per terra, quasi nascosto dalle piante infestanti.
Mi guardavi e io tornavo bambina,
e tu con me;
ci  abbracciavamo senza toccarci,
volevamo correre via,
lontano da tutti,
per guardare il cielo da vicino
e non tornare più.