giovedì 11 giugno 2020

La fuga

Laila era scappata di casa. Aveva abbandonato tutto, i suoi genitori e la quiete della sua famiglia. I fratelli, sua sorella. Laila attraversava la città distrutta dalla crisi e dalla pandemia.
Laila era stanca dei silenzi di Julian, stanca di essere messa ai margini della sua vita.
Lasciò anche lui.




Lei e il cielo, un rincorrersi di brandelli di nuvole, onde nel cielo alte come palazzi. 
Prese il treno che andava a est. 
Dormì accovacciata, tremando. Nel vagone solo lei e un uomo della frontiera. Lui sapeva di fumo e di vino.
Verso l'alba le si avvicinò.
- Bambina - le disse 
- Bambina, svegliati, devo parlarti - 
Laila lo vide attraverso la semi oscurità, come un vecchio cantastorie smarrito.
- Bambina devi stare attenta. Il virus è arrivato e non ci sarà scampo per noi. Tu non sei prudente, devi proteggerti, devi indossare la mascherina così, fino agli occhi. Io so cosa accadrà -
L'uomo della frontiera le parlò della fine del mondo, le disse che un tempo lui era un mimo, che la sua arte era finita, che tutto era perduto. Che era tardi per credere ancora nel domani. 
Era triste e a un tratto le parve bello, come uscito da una favola d'altri tempi. La giacca logora, gli occhi con le tracce del pianto recente. 
- Non è finita - disse Laila.



La ragazzina e il vagabondo oltrepassarono il confine. All'alba scesero alla stessa fermata. Faceva freddo anche se era giugno. Si salutarono. Lui le regalò un fiore giallo che aveva strappato dal ciglio della strada. Lei gli sorrise.

Il vagabondo decise che poteva provare a credere ancora, poteva provarci. Mise il suo cappello a terra, fissò la gente che passava e immaginò di essere a teatro. 
Il suo volto si trasformò, era un altro. La magia si era ricreata ancora. Non era finita. 

Laila si sentiva libera. 
Correva forte e apriva le braccia come per volare via. 

Arrivò fino al mare quel giorno.