domenica 23 maggio 2021

La casa delle farfalle

 La casa delle farfalle si trovava dopo il fiume.

Era una casa abbandonata da qualche anno ormai. Un tempo era stata abitata da una donna strana, tutti la chiamavano "La matta". Ma io lo sapevo che non era matta, era semplicemente diversa dalla maggior parte delle persone e a me e D. piaceva proprio per questo.

D. era mio amico, il mio più grande confidente, il compagno dei miei giochi d'estate. Abitava nella cascina vicino a casa nostra, non amava molto parlare, ma io sapevo che aveva in sè luci mescolate a ombre, luci che a tratti si vedevano, nei suoi occhi scuri. Se dicevi un segreto a D. potevi starne certo, il segreto era in buone mani, al sicuro da tutti.

D. all'inizio non voleva che in paese si dicesse che giocava con me che ero una femmina, poi però lentamente, giorno dopo giorno, si arrese. I nostri giochi e le nostre avventure lo appassionavano e lui, ogni pomeriggio, fischiava al di là del cancello e io lo raggiungevo, felice.

Fu in quell'estate che noi la conoscemmo.

La casa di Ester, la matta, era fuori dal paese, nei campi di grano.

Un giorno decidemmo di raggiungerla per spiarla.

- Vediamo cosa fa, magari è una strega - bisbigliai. Ci acquattammo dietro un cespuglio di rose canine e restammo un po' in attesa.

Ester uscì, era vero che era diversa dagli altri. Aveva un vestito lungo a fiori, i capelli bianchi, folti e selvaggi sulle spalle e giocava con delle farfalle blu come la notte.

Io e D. restammo per un po' a guardarla a bocca aperta.




Ester ci mostrava un mondo che non conoscevamo e ne eravamo affascinati.

- Cosa fate lì dietro? Uscite che vi ho visti! -

Era inutile fingere con lei, uscimmo dal cespuglio. Ester ci guardò come nessun altro aveva mai fatto, aveva negli occhi un bagliore lontano. 

- Volete un the? - 

Diventammo amici. Ester dipingeva quadri dai colori misteriosi, laghi, montagne, colline che non aveva mai visto, ma erano tutte lì, nella sua mente, più reali della realtà.

Ester aveva amato un uomo che non era mai stato suo e per questo i suoi gesti erano come sospesi e il suo cuore era ferito, ma decise di dipingere e la sua ferita fiorì.

Io e D. eravamo ammaliati da lei.

Lei ci mostrò chi eravamo. D. aveva una voce che incantava, io sapevo inventare storie. Lei ce lo disse e noi scoprimmo che non eravamo solo due inutili ragazzini del paese.

Ci svelò l'arte.

Quell'estate la passammo in gran parte con lei, lei recitava con noi, io costruivo le storie e poi insieme mettevamo in scena le nostre avventure. Oppure ci faceva dipingere e i miei erano quadri di luce, mentre i paesaggi di D. erano spesso ombrosi, abitati da creature oscure.

Fu un'estate indimenticabile. Poi arrivarono le piogge. Ricominciò la scuola, non andammo più da lei per i lunghi mesi invernali.

La neve aveva coperto i campi. Tutto era bianco e tutto era silenzio.

In primavera sentii il fischio, era tanto che non vedevo D.

Era cambiato e forse lo ero anch'io, ma la voglia di vedere Ester era intatta per me e per lui.

Ricordo tutto di quel giorno. Le farfalle blu volteggiavano da sole, la porta era aperta.

La chiamammo. Nessuno rispose.

C'erano due tazze di the sulla tavola. E poi solo il silenzio.

Lei non c'era, era sparita.

Svanita nell'aria come le sue farfalle.

In paese si parlò a lungo della sua scomparsa, la sua casa restò abbandonata.

Diventò la casa delle farfalle. Erano di qualità diverse, si ritrovavano tutte lì, avevano sulle ali i colori notturni e luminosi dei quadri di Ester.

Io e D. andavamo a trovarle e le guardavamo incantati, immersi nei loro voli.

Lo sapevamo, lei ci aveva cambiato la vita. Lo si vedeva dai nostri occhi e dai nostri gesti.

- Un giorno comprerò questa casa - si ripromise D. 

- E tu sarai sempre la benvenuta -

Ci abbracciammo e restammo così a lungo, in mezzo ai colori tutti attorno a noi.





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