Io dalla finestra spiavo le nuvole, scomporsi e ricomporsi in centinaia di storie mai scritte.
Le nuvole, le rose, l'acqua, il mio destino che si apriva lentamente, giorno dopo giorno.
E il mio destino aveva il tuo nome che scrivevo e cancellavo ogni giorno, eppure era inutile. Il tuo nome era inciso dentro di me, una cicatrice che a volte sanguinava, altre volte diventava bianca come un respiro.
Era la primavera dei miei 17 anni e l'amore per te mi parve subito un oltraggio.
Tu piacevi a troppe e io ero solo io. Una creatura di luci ed ombre che ti aspettava per parlare, anche solo per un momento.
Io non volevo amarti, ma solo proteggerti, solo esserci.
Mi rifiutavo di amarti con un dispetto crudele fatto al mio cuore, una lama che affondavo ogni giorno dentro di me per cacciarti da lì, per custodirti come un fiore prezioso, proteggerti dai vermi e dalla grandine.
E tu un giorno mi guardasti non come una sorella, ma come un'impossibile salvezza.
Cos'ero per te? Ero qualcosa che non osavi toccare, come temendo di rompermi o di spezzarmi per sempre.
Ero lì, così vicina, così irraggiungibile.
Restammo amici, promettendoci in silenzio che non ci saremmo mai persi.
Ma i petali cadevano e noi non potevamo farci niente.
Primavera dopo primavera, pioggia dopo pioggia, dolore dopo dolore.
Infine, in mezzo a un mondo impazzito, che non riconoscevamo più, ci ritrovammo.
Io ero antica, i capelli più fragili e bianchi, tu sembravi aver affrontato un lungo viaggio attraverso il deserto, il passo più lento, gli occhi stanchi.
Eravamo in mezzo alle rose o forse eravamo in una via grigia e anonima, ma rose alte come noi crescevano mentre ci parlavamo.
Superstiti di un mondo disfatto, io e te, ci sorridemmo.
Per un momento tornammo ragazzi, incerti e inconsapevoli.
Si mise a piovere, ma noi non avevamo l'ombrello.
Ci lasciammo bagnare dal nostro ricordo.
Camminammo a lungo in mezzo alle nostre rose. Non avevamo mai visto un giardino così bello in vita nostra e non lo avremmo mai dimenticato.
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