Non ho la possibilità di partire, non ho abbastanza soldi e le mie gambe non me lo permettono.
Sono fragili, le mie ossa si potrebbero spezzare.
Così viaggio con la mente.
In cucina c'è il deserto, la terra rossa, spietata e arida. Nel deserto sento ogni notte cantare il vento, mulinelli di sabbia disegnano volti pensosi e assorti nella contemplazione delle stelle.
La sala è New York, una città trasparente fatta di vetri, colori e rumori. Ballo senza stancarmi nella mia metropoli, sorseggio aperitivi frizzanti e chiacchiero con tutti gli specchi, così ciarlieri, così accomodanti. Le immagini di me sono sempre diverse e volubili. Non mi annoio mai con loro.
Il bagno è una terra ghiacciata e polare. Nella grande vasca scrostata un orso sonnecchia aspettando la luna, tutt'intorno a noi non c'è altro che silenzio bianco. Io mi siedo sul water e mi commuovo guardando quel nulla e cercando un lontano bagliore.
Nella mia camera da letto c'è l'Amazzonia. Il caldo umido dell'equatore mi rende inquieto, togliermi gli abiti non sarà sufficiente, non placherà questo malessere. Dovrò immergermi nel fiume e nuotare tra i pesci colorati, mille sfumature di arancio e rosso, cercando il sole all'orizzonte.
Ho troppo viaggiato ormai e sono stanco.
Il mio corpo trema di emozione, guardando le nuvole sul soffitto.
Si muovono molto velocemente.
Cado giù, sul pavimento.
Non so se riuscirò a rialzarmi.
Dovrò aspettare mia moglie, quando tornerà dal lavoro mi rimprovererà.
Ma io, in controluce, la vedrò bellissima, come un'indigena, scura e selvaggia e allora tutto sarà perfetto.
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