sabato 21 settembre 2024

Rosso nel cuore

 L'autunno arrivò all'improvviso quell'anno. 

Io e le mie sorelle  Maria e Giusy andavamo a raccogliere le mele, nei campi dietro a casa. Le foglie delle viti si facevano rosse, c'erano tracce di sangue anche dentro di loro.




Io mi sentivo in fermento, ma non volevo darlo a vedere. Dovevo dissimulare indifferenza, ma nel mio corpo fioriva una pianta spinosa, dai petali scarlatti. Era l'anima che tornava a palpitare, come all'origine della mia vita.  

Durante l'infanzia il mondo era stato una continua scoperta per me. La linea dell'orizzonte che si confondeva con il cielo, i capelli ramati di mia madre, le sfumature impreviste del legno, la voce forte di mio padre, il suono della chitarra nelle sere d'estate. Tutto era scoperta, tutto era stupore ed io crescevo felice lontana dal mondo.

La mia famiglia aveva scelto l'esilio ed io brillavo in quell'incanto remoto.

I miei genitori erano fuggiti dal mondo e si erano rintanati sulla collina a coltivare mele e ortaggi, e a vendere l'uva alla cantina sociale. Io ero cresciuta così, con Maria e Giusy come uniche compagne di vita, insieme ai gatti, al cane e alle galline. 

Tutto scorreva uguale lassù, le stagioni scandivano il tempo del lavoro, mia madre c'insegnava a leggere e a scrivere. Una volta a settimana scendevamo in paese e io e le mie sorelle guardavamo i ragazzi. Noi eravamo chiamate le tre streghe, ma questo non speventava i giovani, anzi li incuriosiva. 

Alla festa di mezz'agosto io, Giusy e Mari ci baciavamo sempre con qualcuno e poi ne parlavamo a lungo tra di noi, nelle lunghe sere d'estate. 




Ma tutto questo per me era sempre stato un gioco senza importanza. Un bacio sotto le stelle, una carezza nel prato e poi quel viso spariva nella nebbia dell'autunno.

Vivevo quegli avvenimenti senza trasporto, non ero come le mie sorelle che s'innamoravano e bruciavano internamente.

Io guardavo le stelle cadere e non esprimevo nessun desiderio.

Fino al giorno in cui conobbi lui. Era il nostro nuovo vicino di casa. Abitava nella cascina dietro alle vigne, insieme a suo padre. Si faceva chiamare Vic, ma il suo nome era Vittorio. Aveva la pelle bruciata dal sole, stava sempre nei campi, le braccia forti, lo sguardo liquido. 

Avevo più volte provato a disegnarlo, ma non ci riuscivo... Mi sfuggiva sempre qualcosa di lui. Un'ombra o una luce negli occhi, non so dire.

Vic mi conquistò lentamente, giorno dopo giorno. Passavo a salutarlo per dargli delle mele, o dei pomodori e lui mi parlava di cose insolite. Di sera leggeva molto e mi raccontava a puntate i romanzi o i saggi che approfondiva. Io sgranavo gli occhi e assorbivo tutto l'universo che percepivo in lui. Sapevo che voleva partire un giorno, andare lontano e questo mi feriva. Voleva vedere il mondo, ma i confini erano diventati difficili da superare, eppure continuava a sognare.  Quella sua vena inquieta mi attirava e allo stesso tempo mi feriva. Quando mi sentivo triste per questi suoi discorsi mi mettevo a disegnare furiosamente luoghi e persone inventate, fantasmi e mondi immaginari. 

A lui piaceva stare con me, ma non me lo diceva. L'intuivo però, perchè si appassionava a spiegarmi le cose, come se la mia ignoranza fosse perfetta per lui, un terreno fertile in cui far crescere i suoi sogni. 

Diventammo inseparabili. Nel tempo libero dove c'era lui, c'ero io. 

Alla festa di mezz'agosto non baciai nessuno perchè avevo lui in testa. 

Un giorno di ottobre lo trovai fuori dalla cascina con lo sguardo perduto. 

- Lù ti devo parlare - mi disse. E io sentii fremere dolorosamente i petali dentro di me. 

Andammo dietro al noce, lui aveva lo sguardo confuso.

- Devo partire, è arrivata questa - Era la Lettera. 

Lentamente, quasi senza clamore, la guerra era tornata nel nostro mondo. 

E lui doveva andarci. 

- No - protestai come una bambina.

Lui mi abbracciò forte. Non l'aveva mai fatto. E io mi lasciai avvolgere dal suo corpo, così diverso dal mio. Sapeva di menta e d'aria. 

Ci baciammo e il suo bacio fu diverso da tutti gli altri. Ed io capii le mie sorelle. Il rosso era entrato anche in me, finalmente. Un rosso tramonto, dolce e amaro al tempo stesso. 

- Ti aspetterò, tu sei forte e tornerai presto. La guerra finirà presto - mormorai.



Fu il lungo inverno dell'attesa. Poi ci fu la primavera amara. 

La guerra non voleva finire e l'estate fu arida, senz'acqua. 

Ma a settembre Vic tornò. Era ferito ad una gamba e questo l'aveva salvato dal fronte. Appena arrivò io gli portai una torta fatta da me, c'erano anche lacrime di gioia là dentro. 

- Ti curerò io la gamba, sono una brava infermiera - 

Lui aveva il volto distrutto, la scia del dolore nei suoi gesti, ma quando mi vide mi sorrise. Dov'erano tutti i suoi sogni, le sue parole, la sua voglia di fuggire via lontano?

Non c'erano più o erano state trasformate dalla guerra, forse?  Vic era felice di essere lì, con me. 

- Sono a casa - disse -

Il cielo era un infinito di nuvole.

E noi ci abbracciammo forte. 

Non tutto era perduto. 







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