mercoledì 21 agosto 2024

Barbablù e la stanza segreta


Da quanti anni abitavo lì?

Ero cresciuta in quella villa e Barbablù era diventato il mio unico punto di riferimento. La casa era nascosta da un giardino rigoglioso, siepi di bosso, rose, margherite dai petali screziati di lacrime, sospiri.

Vialetti nascosti portavano a fontane, tane di foglie o statue di angeli con le ali mozzate.



Barbablù era attratto dagli angeli, creature incerte e supreme, ma in un certo senso li temeva, proprio lui che sembrava così forte, così sprezzate e altero.

- Dio non esiste - bofonchiava spesso, eppure io non gli credevo e lo guardavo cercando di intuire chi fosse veramente quell'uomo.

Aveva un portamento regale, grandi spalle forti, una barba selvaggia e folta, nera dai riflessi blu, da qui il suo soprannome.



Il suo nome tutti l'avevano dimenticato, perché lui stesso voleva dimenticarlo. Io no, io lo sapevo e lo custodivo in segreto, così come custodivo alcuni tesori in una scatola di latta.




La scatola di latta

La scatola raffigurava il mare impetuoso, un tempo aveva conservato dei biscotti, ora c'erano i miei ricordi e le mie speranze.

Una fotografia in bianco e nero con i miei genitori e mia sorella, una lettera d'amore, uno scontrino sbiadito, una rosa secca, una carta di caramella all'arancia e una chiave.

Ecco i miei tesori.

Nella fotografia si vedevano un uomo e una donna, in un giardino incolto e due bambine, una quasi nascosta da una grande dalia, l'altra in braccio all'uomo. La foto mi riportava indietro di anni, in un'epoca vicina eppure remota perchè ora le cose erano cambiate e io non ero più quella bambina dalle trecce scure e il sorriso sincero.

La lettera d'amore mi era stata scritta da un compagno di scuola, Martin. L'avevo letta così tante volte che l'avevo imparata a memoria:

"Cara Ari, ti sogno tutte le notti e ti penso. Maledetta a te, ti penso ogni ora.

Una volta ti prendevo in giro, ricordi? Ti chiamavo 'Trecce storte' e adesso... Adesso vorrei passare del tempo con te, è questa la verità, vorrei vederti sorridere.

Il tuo sorriso mi porta la pace nel cuore. E il mio cuore, tu lo sai, ha un grande buco nero. Tu sai portare un po' di luce là dentro, piccola Ari.

Ti aspetto fuori da scuola.

Martin."




Martin era il mio amico del cuore, non lo vedevo da così tanto tempo che il suo viso sfumava e diventava confuso. Non potevo uscire dalla casa di Barbablù, ero una reclusa e tutto il mondo esterno mi era proibito.

Lo scontrino era di una gelateria dove io e Martin avevamo preso una granita, quel giorno c'eravamo anche baciati. La sua bocca sapeva di fragola, la mia di limone, i nostri due gusti insieme erano freschi e dolci al tempo stesso.

La rosa secca l'avevo conservata perché apparteneva alla casa della mia infanzia. L'avevo recisa l'ultimo giorno, prima di entrare qui dentro e la carta di caramella all'arancia me l'aveva data mia sorella un giorno in cui avevamo litigato e poi fatto pace.

Barbablù è l'uomo più potente della città, può scegliere le sue spose, esse vivranno nel lusso e nella conoscenza, la sua enorme biblioteca è a disposizione delle sue donne, ma esse mai potranno varcare il grande cancello. La vita del mondo esterno diventerà un ricordo remoto, del resto lui sa rendere ogni giorno e ogni notte indimenticabile, così tanto che nessuna donna vorrà più uscire dalla villa incantata.





Così si diceva, dalle nostre parti e forse, in parte era così. La villa era un luogo magico, corridoi infiniti si aprivano al nostro passaggio, gli specchi ci mostravano luoghi meravigliosi, città lontane sempre diverse. "Sono le città invisibili" mi confidò lui, un giorno "ma ognuna di voi vede paesaggi diversi, in base al vostro mondo interiore, il tuo Ari è il migliore. Hai una grande immaginazione, piccola mia".

E mi abbracciava. Così sentivo il suo odore di tabacco e mi perdevo in quel mondo immaginario.



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Volevo vederle tutte quelle città, sfioravo gli specchi e talvolta mi accorgevo delle lacrime che scivolavano lente sul mio volto.

Ero prigioniera.

Ero ancora troppo piccola per amare, mi sarei lasciata toccare soltanto da Martin e Balbablù lo sapeva.

- Aspetterò - diceva accarezzandomi la schiena - Verrà un giorno in cui tu verrai a cercarmi - e mi guardava con i suoi occhi oscuri. Si accontentava di abbracciarmi e prendeva dalle altre tutto il resto, senza pazienza né ritegno.

Loro negli specchi vedevano deserti.

Ed io, lentamente, iniziai a pensare alla rivolta.

La chiave

L'ultimo tesoro nella scatola di latta è la chiave.

C'è una sola stanza proibita a noi tutte, amanti e spose. È l'ultima porta in fondo al corridoio del primo piano. Lì nessuna di noi può entrare, solo lui, il nostro signore, può accedervi.

Dov'era la chiave? Tutte noi ce lo chiedevamo, perché in fondo, sebbene stordite dalla meraviglia labirintica della villa, noi tutte volevamo scoprire il segreto di Barbablù.

- Ari solo tu puoi trovare la chiave - mi disse un giorno Lorena, la prima sposa. Lorena aveva lunghi capelli bianchi, occhi celesti e labbra rosa, come petali. Era stata la prima amata da Barbablù e aveva molto sofferto quando si era accorta che lui non era mai soddisfatto, nè di lei, nè di nessun'altra perchè nessuna donna avrebbe mai placato il vuoto che lui percepiva.

Lorena si era affezionata a me e vedeva in me una possibile salvezza.

- Ti ho vista l'altro giorno in giardino. Parlavi con gli angeli di pietra -

Era vero. Nella mia solitudine avevo cercato amicizia anche nelle statue, i grandi angeli con le ali recise, anche loro prigionieri nel giardino.

E loro avevano iniziato a parlarmi, con voci soffuse, come i fruscii del bosco, voci che sentivo soltanto io.

- Se puoi parlare con gli angeli troverai la chiave. Se troveremo la chiave scopriremo il suo segreto e io saprò se lo amo o lo odio. Capiremo se va salvato o distrutto -

Gli angeli

Accadde di notte, in estate. Faceva caldo e non riuscivo a dormire. Silenziosamente, a piedi scalzi, uscii dalla mia stanza e andai in giardino.

I grilli bisbigliavano frasi sconnesse, i miei ricordi si rincorrevano e cadevano, la mia immaginazione si mescolava alla realtà.

Gli angeli di pietra tacevano con gli occhi chiusi.

- Sto cercando la chiave della porta segreta, forse voi sapete dov'è? -

L'angelo più grande mi guardò con dolore, sembrava trafitto da una lama incandescente e invisibile.

- È sotto al suo letto, bambina. Forse tu puoi aiutarci e aiutarlo. Forse non tutto è perduto -

Corsi dentro e andai nella sua stanza. Pensavo di vederlo avvinghiato a qualcuna di noi, ma il suo letto era vuoto.

Guardai sotto e trovai la chiave. Era d'argento grande e luminosa come la luna.

La nascosi nella scatola di latta.


La stanza segreta

Il giorno dopo pensai di usarla. Di notte, sgusciai via dal mio letto e andai a cercare Lorena, ma non la trovai, forse quella sera era stata scelta? Dovevo andarci da sola.

La porta era al primo piano, in fondo al corridoio.

Mentre camminavo vedevo negli specchi le città invisibili. Quella notte erano tutte vuote e spopolate, azzurre e blu. Qualcosa stava cambiando anche in me, come in tutte le altre. Forse presto anch'io avrei visto solo deserti e ghiacciai. Era tempo di cambiare.

Inserii la chiave d'argento nella toppa, il cuore pulsava forte nelle orecchie.

L'aprii.


C'era lui nel buio, ma dall'oscurità si muovevano anche alcune creature fatte d'acqua e terra, fuoco e aria.



Erano creature incerte e inquiete, sue idee che si materializzavano in quella stanza.




- Finalmente sei venuta Ari, ti stavo aspettando da tanto tempo. Ho più copie di questa chiave. Una l'hai trovata tu. - e i suoi occhi erano bui, annegati nel dolore.

Mi porse un coltello affilato.

- Fai quello che devi fare, Ari -

Pensai alla libertà, pensai alle altre, pensai a Lorena, A Martin e alla mia famiglia.

Lasciai cadere la lama.

Le creature continuavano a mutare forma e Barbablù mi parve deluso.



Si aspettava un finale diverso.






- Omar, noi oggi ce ne andremo, saremo libere. - dissi.

Lui si fissò le mani grandi, trafitte. Omar, era tanto che nessuno lo chiamava così.

Mi guardò per un momento illuminato.

- Il cancello rimarrà aperto, resterà solo chi lo desidera. -



Tutti i cittadini poterono entrare nella villa di Barbablù, si aggiravano incantati tra i roseti e le aiuole fiorite e ricordavano gli anni bui in cui quell'uomo si prendeva le loro figlie.

Io sono tornata a casa e ho raccontato tutto a Martin, lui mi ha spinto a scrivere tutta la storia. Talvolta ci rincorriamo nel giardino, ma ora è davvero tutto diverso.

Gli specchi sono stati distrutti, Barbablù dice che dobbiamo inventare noi le nostre città invisibili.

Talvolta io e Martin andiamo a cercare gli angeli dalle ali mozzate, ma da quella notte nessuno li ha più visti.



Ora Barbablù vive ritirato in poche stanze insieme a Lorena, lei non l'ha mai abbandonato e lui adesso la guarda come un uomo che ha trovato l’amore. Insieme sembrano due alberi in cima ad una collina, al tramonto.

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Grazie a Gianluca di Matteo che mi ha "prestato" i suoi disegni. Li trovo particolarmente vicini allo spirito del mio racconto e così li ho citati. Se cliccate sul link approderete al suo Instagram https://www.instagram.com/gianluca_burattini_e_ombre?utm_source=ig_web_button_share_sheet&igsh=ZDNlZDc0MzIxNw==
 




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