venerdì 7 novembre 2014

Out of time

Sono cresciuta all'ombra, nella periferia di una città di provincia. Lì non c'era la bellezza delle montagne, né l'incanto mistico del mare. C'erano palazzi tutti uguali, prati impolverati, cemento sul verde sporco; per me e i miei amici era normale desiderare la fuga e il riscatto.

Erano anni di transizione. Molti di noi non potevano più tollerare le dinamiche delle discoteche, le attese davanti ai buttafuori: sei abbastanza figo per entrare qui dentro, amico? No, non lo sei, vai via, sgombra.

E poi lì non c'era la musica che ascoltavamo noi: i Clash, i Madness, i Nirvana, i Mano Negra. Scoprimmo i centri sociali.

     Foto di Milena Poggio


Luoghi recuperati o sottratti, colori violenti sulle pareti, il cemento assumeva finalmente altre sfumature. L'arcobaleno nelle discariche.

Mi trovai bene, mi trovai a casa. C'erano persone come me, considerate strane dagli altri, considerate eccentriche o semplicemente out.

E anche la mia piccola opaca provincia sembrava illuminata da una luce nuova, rossa come la brace, blu come la profondità dell'abisso, viola come l'amore senza speranza.

Noi eravamo il futuro, noi potevamo cambiare le cose.

Oggi siamo uomini, ma non siamo noi al comando? Abbiamo portato quei colori fuori da lì?

Forse non dovremmo dimenticare i sogni della nostra fottuta adolescenza.







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