Lor aprì gli occhi. Tutto era diverso. La sua stanza era
un grande acquario dalle pareti scure, appannate. Respirava più forte. Le sue
mani strinsero le lenzuola. Il suo viso giovane era percorso da brividi e da
gocce trasparenti di sudore e di acqua salata. Non riusciva ad alzarsi.
Pesci blu,
dall’ombra dorata, guizzavano davanti a lui. Murene lucide e sinuose danzavano,
lente, nella quiete della camera. Lò era emozionato ed esausto.
Lei era
comparsa all’improvviso, eppure Lor non si stupì. Era come se l’aspettasse da
tanto tempo. Aveva capelli setosi del colore del mare in tempesta e occhi
annegati. Doveva aver pianto. Ma in quell’istante sorrideva, incredula.
- E’ tutto un
sogno – si disse lui, perché l’amica aveva il corpo coperto di squame argentate
e una lunga pinna umida al posto dei piedi.
Non potevano
parlare, l’acqua avrebbe soffocato le loro voci, ma si capirono. Lor le mostrò
una conchiglia vuota che sembrava un castello dell’oceano. Linil l’accostò
all’orecchio e sorrise.
C’era un canto
remoto imprigionato nella spirale:
Liberami
Liberami
onda suadente
Sommergimi
Liberami
onda suadente
Sommergimi
schiuma
salata
Insegnami
la strada
che porta ad Atlantide,
la scia del destino,
l’incanto del Dio.
Insegnami
la strada
che porta ad Atlantide,
la scia del destino,
l’incanto del Dio.
Linil aveva piccole pietre bagnate, appiccicate sul viso.
Lor fece per sfiorarla, ma si svegliò.
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