giovedì 25 luglio 2013

Agosto vegetale


Marine coltivava cactus enormi nella sua casa. L’estate era quasi finita. Acquazzoni improvvisi bagnavano le piastrelle del balcone. Marine si affacciava e vedeva le nuvole come castelli che crollano. Correva nell’angolo e riparava sotto un telo impermeabile le sue piante spinose.


 
Io la spiavo. Non mi stancavo mai di guardarla. Lei abitava di fianco a me e non mi era difficile. Scostavo la tenda bianca della mia stanza e fissavo con amore i suoi riccioli scuri, selvaggi, che si bagnavano.

  Io ero uno studente diligente, tutto il palazzo parlava bene di me; lei era solo “Marine la pazza”. Lavorava in un’impresa di pulizia, ma non era costante. Talvolta non si presentava al lavoro, si chiudeva in casa a parlare con le sue piante. Io lo so, perché l’osservavo. Una mattina mi decisi: andai davanti allo specchio, mi pettinai. I miei capelli erano deboli. Me li bagnai. I miei occhi sembravano tagli. Non dovevo pensarci. Bussai alla sua porta. Marine mi aprì.


   Aveva un vestito a fiori su sfondo nero. I fiori volavano lentamente su di lei, in una notte scura. Aveva la pelle bianca con ombre bluastre. Il suo profilo era imperfetto, ma le sue labbra si muovevano con una grazia antica.
- Vuoi un caffè? – mi chiese. I suoi occhi brillavano.
- Sì – le dissi.

   Capii che la desideravo. Non mi era mai capitato prima di allora. Avevo 18 anni ed ero timido. Trascorrevo i miei giorni sui libri. Avevo baciato solo due ragazze, ma per gioco. Marine mi sembrò una sirena appena sgusciata da un sogno umido, notturno.


 Foto di Anita Libera Corsi

   Beviamo il caffè in silenzio. Io sento i cactus respirare. Uno sta per fiorire: ha un grosso bocciolo bianco, cieco.
- Non dovevi venire – sussurra lei, all’improvviso.
- Nessuno mi deve vedere quando sto male –
- Scusa - mormoro, ma non riesco ad alzarmi.

   Lei sta sudando. Sembra un croco all'alba, imperlato di rugiada.
- Vorrei aiutarti – le dico, ma è tardi: lei si alza e ansimando forte cammina attorno al tavolo, freneticamente.
- Io… Io… - riesco solo a dire. Lei si lascia cadere per terra.
- Marine… - mormoro e nei suoi occhi sbarrati vedo centinaia di nuvole che scorrono via veloci. Il suo viso è un cielo.
- Amami – sussurra.
- Amami Luca –

   La bacio. Marine si toglie il vestito. Sotto ha solo delle mutandine celesti, un po’ macchiate. Sento che non sarò più il ragazzo diligente di un tempo. Sento che c’è qualcosa di nuovo e violento in me.


   Marine grida. Le finestre fanno entrare una luce azzurra come la sua pelle. La sua pelle è trasparente: le sue vene si vedono e sembrano dei fulmini. Io mi sento lupo e mi muovo agilmente in lei.
- Tu sei il mio cactus –  mormora con una voce roca. Io la guardo: sembra parlare nel sonno.





Da allora cambiai. Abbandonai i miei libri sul tavolo. Incominciai a fumare. Mi persi più volte per la città. Nel fiume, talvolta, vedevo le nuvole precipitare. Seguivano il corso delle acque. Niente era più come prima. Ogni cosa mi appariva viva e mutevole.

   I miei capelli erano cresciuti: erano forti e ribelli. Ero stato contaminato. Provavo pace solo osservando la sua casa dall’esterno. Vedevo Marine parlare e curare i suoi cactus. Vedevo le sue mani bianche nella terra. Vedevo il suo profilo e mi sembrava la luna. Il fiore era sbocciato: aveva una lacrima di sangue al suo interno. Come Marine.

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