martedì 12 novembre 2019

L'edera

Vivevo di vento, in quei giorni. Camminavo molto, parlavo con le persone come nel sonno, salutavo i fantasmi alle finestre.
Avevano volti pallidi, ma gli occhi erano vivi, luci ed ombre brillavano in loro.
Mi facevano cenni di benevola comprensione con le mani bianche.
Appartenevo a loro, appartenevo al mondo dei sopravvissuti. Ero lì, ma ero anche altrove. Dietro gli specchi, salivo scale polverose, infine arrivavo a te.





Tu aprivi le mani, erano ferite.
Io avevo le tracce del pianto e delle attese sulla faccia, ma sorrisi.
Avevamo troppe cose da dirci, il tempo poteva pure scorrere, la cosa non ci riguardava più.
Io e te nel mondo parallelo in cui i fiori di novembre si arrampicano sulle case, l'edera ci raggiunge, si avvinghia lentamente ai nostri corpi.
Io e te, così lontani, così vicini.





La città come uno dei nostri sogni, si muove lentamente insieme a noi.
Io ti seguirò dovunque andrai e sarò con te anche quando avrai paura, perché l'ho promesso alle stelle e a loro non posso mentire.
Era estate e piangevo guardando le scie ghiacciate nel cielo e a nulla valeva maledirmi e maledirti. Tu eri in me, eri con me.
Anche mentre m'immergevo nel mare e giocavo con i pesci, anche allora, sempre.
Portami con te, non ti disturberò. Saprò ascoltare i tuoi silenzi e ti stringerò quando il freddo ricamerà di petali bianchi i vetri delle finestre.
E le terre lontane, le pianure nebbiose, le metropoli infinite, non ti feriranno.
Perché non sarai solo.







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