Il freddo era arrivato e tu avevi passato la frontiera.
Io lavoravo duramente.
Cucinavo, pulivo la casa, parlavo con le piante, spolveravo, correvo per la
città immemore.
Avevo dimenticato le mie
promesse?
Chi ero diventata?
Una straniera. Una straniera,
come te.
I miei capelli si contorcevano,
la mia pelle vibrava sotto le maglie pesanti, i miei occhi riflettevano tutte
le nuvole che avevo visto nella mia vita.
I miei sogni di notte erano
liquidi. Ero nell'acqua, navigavo per ore intere, mi perdevo tra le
costellazione sconosciute.
Ma era inutile tentare di
fuggire via da te. Ero sotto il tuo incantesimo.
Le tue mani, come una carezza rimossa,
le tue mani
che creano e plasmano,
la tua voce
che racconta, che mi porta
lontano, che mi fa viaggiare stando ferma.
Quando parlo con te vedo i tuoi universi, vedo le strade che hai
percorso, i cieli, i deserti, le vie trafficate, sento gli odori forti delle
spezie e sento il tuo destino.
Come inciso sul palmo, la tua via.
Il solco che hai creato dentro di me allora fiorisce, come in
primavera.
I semi sono rimasti a lungo sotterrati, in quest’inverno precoce.
L’acqua dei tuoi silenzi è penetrata, goccia a goccia.
Lentamente ha dissetato le piccole piante che ora crescono, come figlie
inconsapevoli.
E io continuo a raccontare storie, cercando di non pensare a quei
fiori che pulsano dolorosamente in me.
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