martedì 29 ottobre 2019

Il gioco del teatro

Sono nata in una famiglia in cui il teatro non era un mestiere, ma una passione nascosta.

Mia madre diventava una strega, costruiva teatrini per burattini, draghi di cartapesta giganteschi per le sfilate di carnevale, scriveva copioni per recite fino a notte fonda, eppure diceva che il suo mestiere era un altro, il teatro era solo un diversivo, una distrazione dagli impegni quotidiani.








Noi bambini vivevamo recitando. Io costruivo storie complesse che duravano anni con mia sorella, complice dell'incanto.
Io e lei, uniche depositarie dei segreti del nostro mondo parallelo, in cui nessuno poteva accedere.

Mio padre assecondava il gioco del teatro, anche lui affascinato dalla finzione, scattava fotografie in cui il reale si distorceva. Cercava la luce giusta, riprendeva con la sua cinepresa istanti irripetibili e li rallentava.
Lui e il cinema, lui e il mondo soprannaturale.

Recitavamo in spettacoli creati da mia madre e ricordo l'emozione del palco, quando il sipario era ancora chiuso e sentivi il pubblico là fuori, palpitante, vivo. Era lì per te.





Ancora oggi vibro per la rappresentazione e nei bambini rivedo la mia emozione. La musica, il ritmo, i loro occhi fissi sul pubblico. Andrà tutto bene, dico loro.
Ed è vero, sono meravigliosi.
Si apre il sipario immaginario e loro sono lì, diventano insetti fatati, spuntano ali luminose sulle loro schiene, appaiono cavalli, gufi, civette... La stanza si riempie di fiori stregati ed alberi dalle fronde folte e ventose.
Ecco qui; il gioco del teatro è iniziato un'altra volta.
E io lo so che andrà avanti fino alle fine dei miei giorni.


 Diapositive 1985






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