domenica 12 ottobre 2025

Il respiro del mondo

 L'universo si apriva ogni notte e respirava piano, fuori da casa mia. L'universo era fatto di stelle brillanti nel nero, di grilli che cantavano nascosti nella notte. 

Io non avevo paura del buio. 

Forse per il mio nome, Stella. 

Abitavamo in una cascina in mezzo ai campi di grano. Lavoravamo molto, arrivavamo alla sera stanchi e guardavamo quei puntini luminosi senza pensare a niente. 






La guerra non era lontana. Vedevamo passare i caccia, un suono troppo forte per il nostro cielo fatto di nuvole e silenzi. 

Era un autunno caldo e ventoso. 

Io mi occupavo delle galline e dell'orto. I miei due fratelli invece andavano nei campi con mio padre. Mia madre era in città per delle cure. Ci tenevano all'oscuro da ciò che accadeva, ogni giorno era un mistero.

Il mondo si sbriciolava lentamente, pezzo dopo pezzo, nazione dopo nazione, nascevano muri, confini, ghetti. Cresceva la paura per tutto ciò che era diverso. E c'era la grande depressione.

Nonostante tutta quella stanchezza io talvolta, la sera, scappavo da casa per vedere Kim. Dovevo stare attenta, perché la notte le strade del paese erano deserte e pericolose. C'erano i lupi e i cinghiali, nessuno usciva, le luci delle strade venivano spente per risparmiare l'energia elettrica. Solo la Luna mandava un bagliore, quando c'era.

Eppure io e Kim rischiavamo spesso, per vederci. Kim era come un pezzo di me, come una gamba o un braccio che non puoi staccare dal tuo corpo.

Eravamo stati compagni di classe, quando ancora le scuole erano aperte. Poi le avevano chiuse in tutto lo stato, solo i ricchi potevano mandare i figli a scuola, noi eravamo poveri, saremmo diventati tutti contadini o artigiani. 

Eppure io e Kim volevamo studiare. Ci vedevamo alla sera. Dietro alla stalla dei suoi genitori c'era un capanno di legno con gli attrezzi da lavoro, i rastrelli, le vanghe, le zappe. Io e lui con le nostre pile leggevamo e parlavamo. Eravamo pieni di sogni. Lui mi aiutava a vivere ogni giorno. 

Ci piaceva studiare storia, perché volevamo capire come mai fosse tornato il caos nel mondo. Disegnavamo mappe, formulavamo ipotesi. E poi lui mi aiutava a studiare inglese. Era una lingua complicata per me e lui, con pazienza, mi faceva ripetere alcune frasi per memorizzarle. 

- Dobbiamo fuggire - diceva.

- Passare il confine, andare verso il mare - 

Io allora lo guardavo, guardavo i suoi occhi scuri, le mani piene di calli, la cicatrice che aveva sulla guancia destra e pensavo che lo avrei seguito dovunque, senza esitazione. 

Una sera mi accorsi che anche lui mi guardava e i silenzi si allungarono. Non eravamo più bambini, cosa avrebbe detto mio padre se mi avesse scoperto? E i miei fratelli? Non volevo pensarci.

Ma perché non parlava? Perché sentivo una fiamma risalire dentro il corpo e bruciare piano, come una pianta inerme in un incendio?

Ne ebbi paura, farfugliai qualcosa e me ne andai. 




I campi erano avvolti nel buio più totale, le stelle brillavano, soli lontanissimi, perduti nell'universo. Qualcosa si muoveva nell'oscurità. Avevo paura, ma dovevo andare avanti. Una volpe si rifugiò in un cespuglio, la vita brulicava nella notte, creature misteriose si muovevano attorno a me, lo percepivo. 

E qualcuno o qualcosa mi stava seguendo. 

Mi voltai di scatto e mi ritrovai tra le braccia di Kim. 

- Non andare via - mi disse. 

Non eravamo mai stati così vicini, sentivo il suo alito, era caldo. 

Lo strinsi forte. 

Eravamo parte di un tutto che ci sovrastava, come lo era la volpe lì vicino, come i lombrichi sotto la terra, gli scarabei, il noce, le galassie, il respiro del mondo. 

Era inutile scappare, dovevamo solo ritrovare la strada perduta. 

Ci baciammo e scoprii che il mondo aveva un senso imprevisto, sconosciuto. C'era il rosso nelle cose, c'era la luce nel cielo e nell'acqua, c'erano infinite geometrie negli occhi delle persone, c'era il calore della sua pelle e io, fino ad allora, ero stata così lontana dalla conoscenza. 

Non avevo più paura. 

La notte diventò luminosa. 

Presto sarebbe arrivato il giorno. 




sabato 13 settembre 2025

13 settembre 2007

 Molti poeti scrissero di te, Luna, ma io ti ho così vicina che le le mie parole saranno più leggere.

 Sei nata sul finire dell'estate e subito mi sei sembrata una creatura fatta di silenzi e bagliori 

perché tu sei una luce nella notte.

Nella mia pancia ti muovevi come una farfalla acquatica e anche ora, che hai 18 anni, vedo le tue 

ali. 

Sono fatte di una sostanza incerta tra l'aria e l'acqua. So che saprai volare molto bene, in alto, sopra alle 

meschinità di questo mondo, in alto, senza paura, perché tu sei forte. 

Luna Chiara, oggi diventi grande, eppure è da tanto che già lo sei. 

Un sostegno per i tuoi fratelli, per i tuoi genitori, per i tuoi parenti e per i tuoi amici. 

Brilla come sai fare solo tu, 

Luna del mio cuore. 




lunedì 11 agosto 2025

Verde silenzio

Agosto nelle foglie, 
Agosto nelle attese,
Agosto nell'incendio del cuore
 
(calmati fiamma,
ritorna scintilla, 
ritorna silenzio).




Agosto nella memoria.
Ricordi?
(Le nostre mani unite per un momento
il brivido del 'mai più'
nei nostri occhi?)

L'estate nel tuo sguardo,
lì ho visto le cascate fresche
dell'infanzia.
Le corse verso la fine della strada,
le discese a perdifiato
fino ai campi umidi di pioggia.

Ricordi le mie parole?
Piccoli semi di luce nella notte.

Agosto del lungo silenzio.
I giorni, 
le ore, 
i secondi,
lunghi e brevi,
vicini e lontanissimi.

Agosto nel verde
delle foglie venate d'oro
e di una canzone
che non posso e non voglio dimenticare.

Agosto portami a casa, 
oltre al bosco dei pini.
Portami nella radura 
insieme ai pensieri, 
gocce di rugiada
sul mio corpo antico e nuovo.

Lì potrò capire.
Lì potrò ascoltare.
Curare le ferite,
immergerle nell'acqua gelida
e cantare di nuovo la nostra antica
canzone d'amore.




venerdì 4 luglio 2025

La casa al confine del sonno

 Era il confine del sonno. Una casa al bordo del precipizio.

L'oceano s'intravedeva dalle grandi finestre delle camere da letto. Il colore del mare era mutevole, grigio, celeste, blu. I gabbiani gridavano felici gettandosi a capofitto verso le onde. 

Forse stavo dormendo. Il corridoio era in penombra, la cucina era bagnata di una luce opaca, acquatica. C'era un grande acquario al posto della televisione, era un acquario marino, con anemoni e pesci pagliaccio. 

E tu eri lì, come al di là del tempo. Ci guardavamo, superstiti di un conflitto. Ti avevo portato un vecchio album di foto e una bottiglia di vino. 

Il mare entrò in noi, lentamente.

Il mare era finito nei nostri ricordi e nelle nostre speranze. 




- Vieni - mi hai detto e mi hai mostrato una scala in pietra, dietro alla casa. Scendeva verso l'oceano, in mezzo al vento di quella mattina.

Io avevo paura di cadere, troppo impacciata ormai, troppi anni sulle spalle, ma guardai solo i miei piedi, un passo alla volta, senza pensare.

L'oceano era lì, immenso. E io e te eravamo così piccoli, vicini a lui e al cielo. Ci sorridevamo, come compagni di giochi. 

Eravamo felici.

Le onde, le attese, le lacrime, le ferite, tutto era lì, in quell'istante infinito.

Io lo chiamo "il sogno del mare". Lo tiro fuori ancora adesso, quando mi manchi. Prendo dalla mensola una grande conchiglia che proviene dall'oceano e l'accosto all'orecchio. Così torno in quella casa al confine del mondo e tu torni a parlarmi, come allora.

- Non tutto è perduto - 

- Ciò che ami resta, ciò che ami mette radici e non se ne va via - 







sabato 7 giugno 2025

L'amore in piccole gocce

L'amore in piccole gocce, 
passano attraverso il corpo disidratato dalle attese vane.

L'amore in piccole gocce, 
dissetami.

Labbra secche, 
pelle antica, 
corteccia, 
foglie tra i capelli, 
radici sulle gambe.

L'amore in piccole gocce,
doveva bastarmi, 
non potevo chiedere di più,
anche se le parole attese si erano sbriciolate.

Era rimasto solo il tuo no.
No, mi avevi detto.
L'amore in piccole gocce, 
quando avevo visto il sì nei tuoi occhi.

L'amore in piccole gocce, 
a volte non basta.

L'amore in piccole gocce,
per sapere se esiste ancora quel fiore dentro di te.
L'amore in piccole gocce,
per sopravvivere nel deserto. 




giovedì 1 maggio 2025

I quaderni di Aicha

 Aicha era scappata un'altra volta. Doveva smetterla di fuggire da se stessa e da ciò che provava. Doveva avere il coraggio di guardarsi allo specchio. 

Ma la guerra l'aveva uccisa tante volte e Aicha aveva paura.

I suoi occhi grandi, la bocca dischiusa in un sorriso antico, la pelle troppo scura per essere come loro.

Aicha scappava quando il dolore le entrava dentro e traboccava. 




Usciva di casa e tornava dopo qualche ora, nessuno le badava del resto.

Aicha era sola, ma aveva un mondo immaginario in cui si rifugiava e lì trovava un pò di pace. Disegnava castelli impenetrabili ai margini di foreste oscure, disegnava creature sotterranee o sirene con capelli di fuoco. Un universo muto e fluttuante in continuo mutamento. Disegnava su piccoli quaderni di basso costo, le pagine sgualcite dalle lacrime e dalle attese. 

Aicha non voleva ricordare il viaggio, quando le chiedevano da dove venisse lei inventava qualche sciocchezza, il suo passato era murato.

Il suo passato era dietro una porta chiusa a chiave dall'interno. E lì sarebbe restato a lungo, forse per sempre. 

Fino a che la lingua, che aveva appreso con così tanta fatica, non le diventò amica. Aicha allora iniziò a scrivere in italiano, i suoi genitori non sarebbero stati in grado di capire, non fino in fondo almeno, e poi comunque non avrebbero mai letto quei quaderni.

Aicha così scoprì la scrittura. I suoi diari si riempirono di parole, di pensieri, di paure che sbocciavano come fiori crudeli. 

La scrittura era la sua maledizione e la sua salvezza, scrivendo Aicha diventava un'altra, indossava tutte le maschere che voleva ed entrava nei suoi castelli immaginari. 

Non più solo disegni, ma anche racconti, riflessioni, poesie, trascrizioni di sogni. 

Forse un giorno, facendo finta di essere un'altra, avrebbe anche potuto raccontare la sua storia. Avrebbe aperto quella porta. E il buio, forse, non le avrebbe fatto così male. 



venerdì 4 aprile 2025

La pioggia e poi il sole arido

 Dopo la pioggia cosa resta nel cuore. 
Frammenti di un discorso mai finito e forse mai iniziato, 
parole che hai buttato via. 
Ti facevano male? Erano spilli per te o coltelli?
E di me non t'importa?
La pioggia e poi il sole arido hanno bruciato tutti i fiori.  
Le radici sono cresciute nell'anima e sono risalite su tutto il corpo.
Sono un pezzo di legno avvolto da vene di legno.
 Un albero senza vento.
Ho aspettato troppo a lungo la tempesta, ma il cielo è rimasto fermo. 
Le nuvole erano pietre bianche, immobili nell'aria e le mie lacrime sono evaporate.
Infine non ho aspettato più. 
Sono diventata musica. Sono diventata sostanza e canto di rivolta. 
Sono diventata acqua.
E il fuoco è rimasto sepolto sotto i miei silenzi.







domenica 23 febbraio 2025

Gocce nel cuore

La città era una nemica? Una maschera di ferro, lame alle finestre. Camminavo veloce per incontrare lui, mentre tutto bruciava. ma il fuoco era solo dentro di me.

Avevo stivali neri, la giacca di pelle, un ciuffo di capelli rossi, una fiamma era finita su di me.

La me bambina, nel giardino incantato della mia infanzia, mi guardava e non mi riconosceva.

Ero perduta.

Corri, corri bambina.

Forse stava piovendo. 

Non lo ricordo, ma so che andavo da lui, con il cuore pieno di ferite.

Si può cucire il cuore? No, non si può cucire.

E lui era tutti i miei sbagli eppure avevo voglia di rompere l'immagine di me, chi c'era al di là dello specchio?

Alice cerca il coniglio bianco e finisce per cadere nella tana infinita. 

Le vie buie e infine i Murazzi. No, non devo aver paura. Sono sola, ma non devo aver paura. Il fiume come un compagno innocente e il riflesso del monte dei Cappuccini, come una promessa.


Il locale era inondato dalle ombre, giochi di luci lontane, acquatiche e il mio coniglio non c'era. Ero lì, sola, per lui. 23 anni e ancora tutto da imparare.

Lui arrivò, unico come lo ricordavo, e restò con me tutta la sera. Il mio coraggio mi aveva premiato, era l'inizio di un amore, ma era anche una lenta caduta, eppure non lo sapevo.


I segni sul suo corpo, i segni nella sua anima. Lividi dappertutto su di lui.

Era una storia d'amore, ma era anche una caduta. 

Allora non lo sapevo.

Gocce d'acqua in una siringa. In una siringa c'era il mare al tramonto. Ma no, non era il mare, era il suo veleno.

Chiudi gli occhi bambina, è solo una lunga caduta.


Non ti farai male, 


sopravviverai. 


Ritroverai le tue ali ferite, ritroverai le parole che avevi perso, recupererai i silenzi.

E una lunga scia di dolore ti porterà via da lì.

Pensavo fosse un gioco, pensavo di salvarlo, pensavo.

Giorni bianchi allineati in fila, come formiche. E noi che piangiamo, noi che ci facciamo del male. Noi che non siamo più noi e il mare nella siringa che invade tutta  la casa. Il mare è dappertutto e bisogna scappare, bisogna andare via, andare via da lì.

Ricomincerai a camminare da sola, dopo aver pianto così tanto, 

ricomincerai a sorridere, quasi senza accorgertene.

E sarà solo un nuovo inizio.




 1998





sabato 25 gennaio 2025

Correremo senza pensare al domani

 Correremo senza pensare al domani, correremo perchè abbiamo aspettato troppo. 
Gli specchi rotti e i silenzi infranti, le labbra spaccate e il tuo respiro vicino.

Correremo senza pensare al domani, 
delle nostre rivoluzioni a te che importa?

Non possiamo invecchiare perchè siamo bambini, 
non possiamo morire perchè siamo idee.

Io e te, 
giovani e vecchi, 
esausti e stremati.

Sulla strada della polvere, 
sulla strada del perdono.

Non abbiamo mai smesso di correre, 
per tutto questo tempo, 
non abbiamo mai smesso di correre. 

Correremo senza pensare al domani, 
così doveva essere, 
così è ora. 

Fuori dalle città pietrificate, 
verso il bosco.

Mi racconterai del tuo passato
e vedrò tutti i tuoi giorni, allineati come formiche, 
tutti i tuoi giorni e le tue notti,
vedrò le tue lacrime, come cristalli nella neve.

E non avremo paura. 
Non più.