Blu riflesso è un mio romanzo scritto tra il 1998 e il 2000. E' un romanzo che ha preparato il terreno a La memoria degli alberi, perché la tematica della sofferenza interiore e psichica è già presente. Eppure è molto diverso da La memoria degli alberi. Blu riflesso è un libro più cattivo e più squilibrato, perché io, all'epoca ero così. In questa storia la protagonista, Toni, ha un forte conflitto interiore, anche di natura sessuale, e si ritrova a vivere una serie di fughe in compagnia di alcuni disperati come lei. Non c'è riscatto, c'è solo la scoperta del trauma e la sopportazione di questo.
Esiste un problema della lingua in Blu riflesso, dovrei fare come Manzoni, riprenderlo e rielaborarlo integralmente, frase per frase. Non credo che lo farò. Blu riflesso rimane così, sbagliato e acerbo come deve essere. Almeno per ora. Ho un'altra storia che mi frulla in testa... E troppo poco tempo per lavorare.
Ecco l'incipit di questa storia imperfetta.
Blu riflesso
Dietro
al vetro.
Io ed Angelica andavamo spesso,
in quel tempo, ad arrampicarci sulla scala di legno che conduceva in soffitta. La porticina minuscola che stava in cima era
perennemente chiusa, ma sopra alle nostre teste c’era una finestra che dava sul
cielo. Anche quella era sempre bloccata,
ma ci offriva degli spazi infiniti a cui noi non sapevamo rinunciare. Sedute vicine su quegli scalini impolverati
ci raccontavamo ogni sorta di cose, litigavamo spesso, sghignazzavamo, ma
soprattutto sognavamo, con negli occhi l’azzurro del cielo. Avevamo dieci anni tutte e due ed eravamo
entrambe da tempo nella Casa di cura.
Per la verità io vi ero arrivata prima, ero lì praticamente da sempre e
i miei mi riportavano a casa sempre più raramente, in realtà da loro ci stavo
solo a Natale. E non mi mancavano, anzi
li odiavo, e mi sentivo molto grande rispetto agli altri bambini della mia
età, perché io alla Casa di cura ci stavo
da sette anni ormai ed era indiscusso il fatto che io lì fossi il capo. Bisogna dire che non era semplice farsi
rispettare, ma ce la mettevo tutta e,
fino ad allora, non avevo avuto grossi problemi. La mia casa dunque, il mio mondo era in
quelle quattro pareti bianche, un po’ sberciate dove tenevano i bambini con dei
problemi ‘psichici e comportamentali’ come dicevano loro, pazzi o scemi, come
dicevamo noi, che erano due cose distinte.
I pazzi erano sicuramente i più rispettabili, c’eravamo io, Angelica,
Mattia che era il mio vice, Alfonso che ogni tanto però credeva di essere
qualche oggetto, Caterina e Tiamamat, il resto erano molluschi o appunto
bambini del tutto andati, come Giuvá che era autistico e parlava proprio di
cose che non si sapeva da dove venissero fuori.
Certo, anche noi non centravamo molto con la testa, ma spesso io
giudicavo la nostra malattia un “eccesso di creatività”.
-Perché siamo qui in prigione?! - borbottava a volte Angelica guardando il
cielo dalla finestra della soffitta. I
suoi occhi si velavano d’acqua ed allora io pensavo che non stesse guardando il
cielo, ma qualcosa che andasse al di là.
-Perché siamo migliori degli altri-
rispondevo ormai automaticamente, ero infatti abituata a quelle domande di
Angelica: lei, a differenza di me, non sopportava l’idea di venire considerata
diversa.
- Gli altri ci prendono in giro Toni, lo sai, dicono che siamo mongoloidi-
- Gli altri non capiscono un cazzo -
Per troncare la questione con lei sapevo che dovevo usare un lessico sboccato;
Angelica infatti si inteneriva nel sentirmi utilizzare quelle parole, si
sentiva protetta da tutta quella violenza verbale. Si voltava verso di me e mi baciava
lentamente le guance e le labbra. A me
allora bruciava tutto e mi mettevo ad accarezzarla. Pensavo di amarla, ma non
era così, o meglio l’amavo, ma non nel modo in cui credevo… Perché fingevo
sempre di essere un uomo, ma ero solo una bambina. Per tutti lì ero Toni, anche per i dottori,
solo mia mamma mi chiamava col mio vero nome: Antonia, ma mia mamma, come ho
detto, la vedevo solo a Natale.
Nessun commento:
Posta un commento