La memoria
degli alberi e Alice Corsi
Il Premio “La Giara ” ha visto una seconda
classificata, Alice Corsi, la camaleontica e sensibilissima personalità dalla
cui penna è stato partorito il romanzo La
memoria degli alberi. Originaria di Alessandria, già autrice nel 1997 di
un’altra opera Il colore della terra,
edita da Joker: si occupa di scrittura creativa gestendo e promuovendo diversi
corsi sull’argomento. «Le gemme si aprono con troppa lentezza. Le tocco e so
che ci sono, so che sono vive. Le gemme dentro hanno un liquido d’oro opaco.
Vita. Si chiama vita. Io mi sento foglia verde che nasce. Mi sento sola e forte
nel legno. Spingo e respiro. Sto solo respirando. Non mi costa fatica. Il
dolore si cicatrizza. Ho croci ovunque sul corpo. Se mi guardo nuda davanti
allo specchio, rabbrividisco. Ho la pelle bianca, fragile. Qualche livido e i
segni di quello che è stato il mio amore. Tagli neri. Non vogliono guarire. Ma
io li osservo e li sfioro. Non odio la mia debolezza perché so che è forza. Se
piango davanti allo specchio è solo per vedere l’acqua verde sul viso». È la
storia di una caduta, quella nella perdizione della propria mente, del proprio
dolore, e con essa nella spirale della malattia mentale. Marion ha cicatrici su
tutto il corpo ma non ricorda assolutamente come sono state prodotte o da chi,
o meglio la sua mente si rifiuta di ricordare qualcosa di troppo grande o di
troppo doloroso. Fragilità e insicurezza disegnano un cammino di sabbie mobili
dove non solo il corpo ma anche la propria psiche si arena inevitabilmente. Chi
sono? Da dove vengo? Sembra chiedersi la protagonista. Animo sensibile o
imprudenza di una giovane ragazza di campagna persa nell’atmosfera di
provincia, la accompagniamo nelle sue flebili frammentate rimembranze: la casa
dei ciliegi e la sua infanzia, con i fratelli e i genitori, la scelta di
studiare letteratura lontana dalla sicurezza della sua famiglia, la sofferta
perdita del padre, l’arrivo della nonna; fino al trasferimento in una nuova
città, dove l’incontro e l’amicizia di Elix e Vlade dapprima, Giada e Michi in
seguito, con la sua presenza luciferina le sconvolgerà l’esistenza per sempre.
Ma la vita non
è mai prevedibile! Ci si perde per poi ritrovarsi, a volte, anche più forti di
prima, allora ecco che i ricordi riaffiorano come un vigoroso inarrestabile
fiume che straripa e valica gli argini. «Ricordo qualcosa. Una stanza dalle
pareti color mare. La luce entra ad ondate, come aria di oceano, e io sono
china su un libro. È un testo di poesie e io l’assaporo. Ma dove sono? Manca
tutto il resto».
Complessa la
vita di fronte alla problematica e alla sofferta traccia della malattia
mentale, sola in mezzo a gente che non conosci affatto quando nessuno sa niente
di te, nemmeno chi ti circonda, difficile provare a scoprire il proprio mondo
interiore nascosto nel profondo di una coltre di dolorosissimi flashback, solo
la forza e il coraggio possono trovare la strada giusta.
«Ha aperto un
varco nella mia memoria che temo di esplorare. La sua violenza, il suo odio li
conosco. Fanno parte di me. Non so. Ho paura. Ricordo vagamente un bagno
illuminato di blu. E io grido e spingo qualcuno. È una ragazza. No. Basta.
Basta.»
La tua vita ti
grida aiuto, vuole emergere, riaffiorare, raccontarti chi sei, gridarti il peso
della tua coscienza e scalfire i ricordi.
In questo
processo mentale tanto difficile tutto rivendica la sua importanza, vuole la
sua parte nella tua vita, come l’amore, quello dimenticato, tanto negativo e
distruttivo per Michi e quello nuovo, positivo e folgorante, fatto solo d’anima
ed evanescenza, per il dottore Nico.
«Io rimango
sola con le stelle distanti e ghiacciate. Nell’aria calda dell’estate quei
puntini luminosi blu sono cristalli di freddo puro, perfetto. […]. Il cuore va
un po’ più veloce e non posso farci niente».
di Pamela QuintieriNello stesso articolo ci sono le recensioni di Cani Randagi di Roberto Paterlini e di Giochi di mano di Manuela Lunati.
Nessun commento:
Posta un commento