venerdì 25 ottobre 2013

Angelo dei treni

Angelo era un macchinista ferroviere. Era slanciato, la fronte spaziosa di chi ha tanto osservato le cose in silenzio. Camminava con la testa alta, gli occhi erano nascosti da occhiali scuri o dalle rughe degli anni.
 Angelo viveva in una piccola casa, con un minuscolo giardino segreto. Dietro le siepi pensavo sempre di scorgere qualche tesoro nascosto o qualche creatura fatata. Lui e sua moglie si volevano bene, lei aveva occhi trasparenti come l'acqua quando è fredda. Anche sua figlia Milena aveva quegli occhi e li ha ancora.
Angelo portava me e Milena al mare. Salivamo sul treno diretto a Genova, poi cambiavamo per arrivare almeno fino a Nervi.


Il mare era un miraggio blu che si faceva sempre più vicino. Toccavamo l'acqua felici. Angelo mi insegnò a nuotare, diceva - Non aver paura, vedrai che non vai giù -
Mio padre non poteva farlo, anche se gli sarebbe piaciuto. Io, Milena, il cielo, l'acqua e Angelo. Senza parole, ma insieme.
Angelo conosceva la posizione di tutte le fontane, non amava spendere inutilmente.
- Offro io - diceva e noi ridevamo.
Angelo amava viaggiare, amava condurre il suo treno, amava vedere il colore del cielo che cambia.

La sua vita si spezzò in fretta, un male feroce, legato al suo lavoro forse, lo portò via in pochi giorni.

 (Foto Milena Poggio)

Angelo guida ancora i treni, al mattino, quando l'aria è densa di nebbia e di piccole gocce di umidità.
E a volte guarda la sua casa dall'esterno, il giardino bagnato di pioggia, la sua nipotina e tutto ciò che non ha più e che gli manca.




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